E’ la fine dell’anno, anzi del decennio. Me lo ricordano tutti. Tutti i siti, tutti i giornali, riavvolgendo il nastro con fatti di cronaca e personaggi, classifiche musicali, letterarie, cinematografiche (a proposito: il mio film preferito è stato La La Land, i miei libri preferiti Open e Le otto montagne, la musica invece è un pianto, ridateci il rock). E in queste ultime ore del 2019 – mentre sono bloccata sul divano dalla sciatica – mi sfilano sotto il naso questi dieci anni, con tutto quello di incredibile che è successo.
Sono arrivati i ‘trenta’, se ne è andato un anno di dottorato passato a leggere cartelle cliniche di isteriche e pellagrosi. Ci sono stati i primi contratti di praticantato in redazione, fino a quello a tempo indeterminato e oggi nel portafogli ho il tesserino da giornalista professionista. Ho vissuto qualche mese a Macerata, ho lavorato fra Imola e Bologna, sono diventata sommelier Ais. Ho viaggiato ogni volta che ho potuto e ho scoperto che i confini abitano solo nella nostra mente; ho aperto un blog – un po’ scalcagnato, ma resiste – per raccontare quei pezzi di mondo e quanto mi diverto a degustare e visitare cantine. Ho contribuito a scrivere una piccola guida sul Giappone, il Paese che, assieme alla Grecia, ho visitato di più. Ho traslocato due volte, ho acceso un mutuo per comprare una casa, abbiamo venduto quella di famiglia (il gatto invece è sempre quello). Ho lasciato l’amato quartiere Saragozza e sono andata a vivere fuori Bologna (!), inseguendo il verde e una casa di campagna perduta. Alcuni amici li ho persi di vista, ne sono arrivati di nuovi. Sono diventata zia e madrina. Mi sono sposata e ora aspetto una bambina.

Tredici settimane ad Amorgos
Eccola la fine del mio decennio, un lungo percorso che mi ha portato fino a qui, a diventare mamma. Ci ho messo un po’ a imboccare questa strada, dopo che la mia, di mamma, l’ho persa nella decade precedente e prima dovevo ritrovare un po’ la figlia. E ora tutto cambierà un’altra volta con l’arrivo di Mia, attesa a brevissimo. E’ vero che questo è un blog di viaggi e assaggi, ma faccio fatica a immaginare un viaggio più incredibile di questo. E poi mi sono accorta di essere incinta durante una vacanza, appena atterrata a Cipro.
Non so dire esattamente quando si diventa madri. Non è solo quando vedi la seconda lineetta comparire sul test di gravidanza. Nel mio caso dentro una finestrella a forma di cuoricino. Inizia prima, da qualche parte dentro la testa, dentro la pancia, quando comincia a strisciare un pensiero: in due è bellissimo, ma manca qualcosa. I figli degli altri fanno ancora abbastanza terrore (anzi in realtà spaventano i genitori forse), ma inizi a intravedere il tuo, quello che la psicologa Silvia Vegetti Finzi chiama ‘il bambino della notte’. E’ un bambino immaginato, dai contorni sfuocati, a lungo sedimentato, che ti porti dietro da sempre nei tuoi pensieri, fino a quando inizi ad essere curiosa di conoscerlo. All’improvviso cominci a vedere intorno a te solo gente incinta, a programmare ai viaggi con il calendario sotto mano. Ma è inutile, perché tanto, se succede, succede in modo imprevedibile.
La sorpresa a Cipro
A me è successo a Cipro, in un bel viaggio con le amiche. Quei giorni di ritardo, la sensazione di avere fatto una serie infinita di addominali (impossibile eh?), la pancia un po’ gonfia. Ma i ciprioti ci vanno giù pesanti con le porzioni a tavola, quindi chissà… Dopo una settimana a cullare quel pensiero, appena scesa dall’aereo sono andata in una farmacia sulla via Emilia per comprare il test. Era il 15 maggio. Di quella giornata, iniziata all’alba a Larnaka, ricordo che pioveva a dirotto, un’esplosione di felicità, un sonno incredibile e il primo festeggiamento analcolico al ristorante cinese.

A Cipro, cinque settimane
Non so bene quando si diventa madri. Ma di certo tutto cambia quando vedi quel puntino per la prima volta, una specie di pupazzetto di neve, che galleggia nella sua stanza scura, da qualche parte dentro di te. La prima ecografia è qualcosa di miracoloso e poco importa se il resto della giornata lo passi con la testa infilata nel water, ovunque tu sia: è tutto vero, quel bambino esiste, non si tratta solo di valori delle beta ed esami del sangue. E’ un privilegio, l’avventura è iniziata. E’ iniziata l’attesa, che il corpo cambi, che la pancia cresca, che i test diagnostici vadano bene, di sentire i primi movimenti. E’ iniziata la felicità, ma anche una paura pazzesca.
Io me la porto sempre dietro, quella paura sottile che qualcosa vada storto. Lo spirito di tragedia, ci scherziamo su con Patrick prima di ogni viaggio: non sia mai che sono felice fino in fondo. Che poi gli dei puniscono, come ci insegnavano al liceo nelle lezioni di greco. L’attesa si è portata dietro anche questo, la nausea è passata, sono sorte altre difficoltà, ma mai tante quanto le emozioni. Io ho smesso di lavorare un po’ prima rispetto a quello che avevo previsto ed è stato strano ritrovarsi il tempo fra le mani, per prendermi cura di me. Anzi di noi. Frequenti corsi popolati solo da donne, si aprono squarci su altre vite. Dopo un decennio passato fuori casa, di cene alle 11 di sera, di giorni festivi lavorati, a tratti torna l’inquietudine della noia, quella che ti assaliva nelle lunghe vacanze estive quando eri alle medie, e ti ritrovi al cinema alle quattro del pomeriggio con i pensionati. E’ un tempo di nuova solitudine la (prima) gravidanza, ma anche di grandi e preziosi affetti.
Il mondo diviso a metà
Il mondo si divide a metà. Da una parte le amiche che ci sono già passate e quelle che stanno vivendo il tuo stesso percorso e le tue ansie, ma anche altre sono comunque presenti, con discrezione, anche senza dover parlare per forza di morfologica e acido folico. Spesso è bastato un passaggio in auto, una telefonata, un ‘come stai’, un invito a prendere un caffè, la premura dei colleghi. C’è anche chi mi ha sognata, intuendo in questo mondo parallelo la mia gravidanza. Spesso si è composta una circolarità di affetti tutta femminile. Mia sorella, ad esempio, lo ha saputo prima di me che da Cipro saremmo tornati in due.

Compagne di viaggio
Altre persone invece evaporano, spariscono. Alcune provano evidentemente un piacere sottile nel raccontarti ogni tipo di tragedia su travagli e bambini piccoli. Racconti che vomiti tre volte al giorno? Quelle persone – giusto per tranquillizzarti- ti assicurano che hanno avuto la nausea fino al parto e magari pure dopo. Altre ti toccano la pancia ogni due per tre, senza chiederlo, ma nel frattempo si sono già scatenati quelli che devono commentare tutto. La domanda più gettonata è “quanto chili hai preso”. Come se normalmente uno andasse in giro a chiedere alla gente come è andato l’ultimo incontro ravvicinato con la bilancia. Comunque, per la cronaca: ne ho presi dieci, al netto del Natale però.

Val di Fassa
Poi c’è tutto il gruppo di chi ti vede pallida – sai com’è, l’emoglobina è in caduta libera- o di chi pensa che tu abbia la pancia piccola: visto che non ti sei ancora inquartata (sai com’è, con le temperature agostane in uno degli anni più caldi di sempre magari non ti sei proprio sfondata di cibo), ti devono trovare un problema. E giù nuove ansie. Non manca mai poi chi ti ricorda di dormire e fare cose per te ora perché poi, è certo, non succederà mai più. Il sottogruppo della serie ‘La tua vita è finita’ è rappresentato da chi ti ammonisce sulle difficoltà che incontrerai nel continuare a viaggiare. Vedrai, dopo. E da qualche parte, dentro di te, si risveglia lo spirito da Erode (io per non saper né leggere né scrivere ho comprato l’unico passeggino che entra in una cappelliera d’aereo).
Quando poi arriva il fatidico momento – quello in cui scopri che la bimba è ancora podalica in una settimana in cui dovrebbe avere fatto un tuffo di testa già da un bel pezzo- ecco che entra in scena chi ti liquida con un “beh, ma meglio che fai il cesareo”. E giù una bella colata di asfalto su immaginario, aspettative e sensazioni maturate in otto mesi. Che poi alla fine della fiera possa essere anche vero non è il punto della questione, ma diciamo che essere tagliata e ricucita come il lupo di Cappuccetto rosso non è che sia poi tutto questo pensiero allettante. Ma intanto c’è già chi ti guarda come una sventurata davanti a questo parto ulteriormente medicalizzato e invoca moxa e agopuntura. E allora corri a fare sedute, incastri nuovi appuntamenti, spendi altri soldi, perché se no, a non provarci neppure, ti senti in colpa. E già ti senti quella strana, quella che magari ha qualche problema con la figlia che fa già di testa sua.

Casa Lawrence, val di Comino. Secondo trimestre
Ma una delle lezioni più belle della gravidanza è questa: non puoi controllare tutto, non pianifichi più tutto. Puoi tenere testa al toxoplasma mettendo al bando cibi deliziosi- hai mangiato in villaggi tribali in India, nella giungla laotiana, hai sempre avuto gatti, ma niente, sarai per nove mesi ‘toxorecettiva’ – ti riempi casa di Amuchina, fai prelievi tutte le settimane, una mattina ti bevi pure una bottiglietta di glucosio perché hai superato i 35 anni e non si sa mai, il diabete. Però arrivi dove arrivi e ti devi solo affidare alla vita che batte dentro di te. La piccola non si gira? Forse doveva andare così per un motivo e amen.
Di questi mesi ricorderò anche tutte le persone in fila al supermercato, in posta, al patronato, sull’autobus che non ci hanno pensato neppure un secondo a farmi passare avanti. I veneziani e i turisti sul vaporetto in questo invece sono stati eccezionali. Ricorderò la rabbia e la frustrazione al telefono con l’Inps e la dottoressa che rogna perché chiedo un certificato in un consultorio in via Toscana invece che a San Lazzaro. Credo di averle sottratto forse tre minuti. Donne tremende, ma anche adorabili, come la fruttivendola che mi ha sempre portato la cassetta di verdure in macchina. La ginecologa, un angelo (di nome e di fatto). L’insegnante di yoga, dolcissima.

A Venezia, sesto mese
Un viaggio dentro di sé e nel mondo
Sono nove mesi incredibili quelli della gravidanza. Un viaggio dentro se stessi e anche un po’ nel mondo. Mi piace pensare di avere già portato Mia in Liguria, dalla stupenda Silvia e ad Amorgos, la mia isola greca del cuore dove io e il suo papà abbiamo deciso di sposarci. Siamo tornati con i nostri amici-famiglia Paola e Gianni, nella stessa taverna a mangiare la stessa moussaka nello stesso giorno, il 14 luglio. E’ stata con noi a Venezia, a vedere film mediamente orrendi (ma il festival del Cinema in effetti temo che sarà davvero da congelare per un po’), fra i borghi del Lazio e in montagna, nella magia autunnale della Val di Fassa. E’ stato un anno di ritorni e viaggi pensati diversamente, ma ci sono stati e va bene così.
C’è bisogno di delicatezza in questi nove mesi, di non essere rinchiuse in stereotipi e banalità. E vi prego, non usate la parola panza: è orribile. Anche se diventare la casa di qualcuno per quasi un anno sarà stata la cosa più bella, importante e creativa che mai potrò fare, non c’è niente di radioso nel sentirsi la gastroenterite in corpo per settimane ed essere possedute dalla sciatica. Alcune mamme mi hanno detto che la gravidanza è stata orribile, che non vedevano l’ora che finisse, perché devi stare attenta a tutto quello che fai e mangi. Per me è stato un dono, ma non siamo tutte uguali, non tutti i giorni sono uguali.
C’è chi visita tutti i punti nascita controllando dove sono collocati i bocchettoni dell’ossigeno e chi vuole partorire in acqua e portarsi a casa il bimbo attaccato alla placenta. C’è chi si ritrova a casa subito e chi lavora fino all’ultimo secondo, perché preferisce così o perché non ha alternative. O il contratto giusto. C’è bisogno di uomini presenti e parenti di buon senso (anche l’ordine degli addendi invertito va bene). C’è bisogno di empatia, di giorni in cui non succede nulla, per ascoltare quei piccoli movimenti, per stare in contatto, per elaborare che si è in due, che una fase è passata per sempre.
Eccola qui, la fine del mio decennio, lo chiudo con gratitudine. Ecco l’inizio di una nuova vita. Andiamo a vedere com’è.
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