Guardo le foto della California e vedo strade. Tantissime strade. Curve o lunghi rettilinei che si perdono in mezzo al deserto, salgono lungo montagne innevate o finiscono sotto il livello del mare. E tutto nella stessa giornata. E’ racchiusa in queste immagini la mia America. Io che pensavo di trovare soprattutto città e un mondo tutto sommato simile al mio, ho trovato invece spazi enormi, orizzonti e cieli senza nuvole in un paese in cui guidare ha il sapore della libertà. Il bello di un viaggio in auto in California è la sensazione che non ci siano motivi particolari per inscatolarsi in un aereo e arrivare fin laggiù. E’ che ogni tanto, semplicemente, si sente il bisogno di andare.
Il nostro viaggio in California è arrivato, ancora una volta quest’anno, all’ultimo minuto. Così come dovevamo finire in Russia e ci siamo trovati alle Seychelles, questa volta abbiamo comprato, sì, due guide della Cina, ma poi un biglietto per Los Angeles. Non la faccio lunga su cosa è successo in mezzo, se non sul fatto che consiglio di dare un’occhiata sempre ai siti viste le offerte che possono saltare fuori anche dieci giorni prima della partenza. Sul delirio delle destinazioni stravolte devo dire, in compenso, che anche questa volta abbiamo dato retta a Paola e Gianni, e meno male. Il loro amore (e conoscenza) per la California ci ha contagiati e seguendo le loro dritte (a proposito, molte le trovate anche nella loro guida dei Viaggiautori) è andata a finire che ci siamo fomentati pure noi (prima o poi andremo anche in Cina eh).
Parto un po’ da qui, quindi, da che razza di viaggio abbiamo imbastito nel giro di due settimane per visitare la California in nove giorni. I punti fermi erano la Napa Valley, visto che la sottoscritta non perde né il pelo né il vizio, e Los Angeles, città di arrivo e partenza.
L’itinerario in California
La terre selvagge
Siamo arrivati a Los Angeles di pomeriggio, ma l’abbiamo lasciata subito guidando per circa tre ore fino a Palm Springs, una cittadina in cui si respira già l’aria del deserto. Siamo arrivati col buio e un jet lag micidiale e della prima sera ricordo solo il primo dei tanti diner in cui abbiamo capito che le porzioni sono grandi il doppio delle nostre e che se ordini una Coca Cola, devi poi sapere che ti arriverà qualcosa come mezzo litro. L’altra lezione è che contro il ghiaccio nel bicchiere non puoi lottare, anche quando fuori ci sono pochi gradi. Ma non era deserto? Sì, con l’escursione termica da libro di scienze. E, apro parentesi, se viaggiate come noi fra novembre e dicembre preparatevi al fatto che fa freddo, anche con il sole. Poi certo, i californiani girano in maglietta e non ti infagotti come in Italia, ma pantaloncini e gonne sono rimasti in letargo in valigia. Ma dicevamo Palm Springs. E’ una cittadina piena di campi da golf, ma, in passato, meta di villeggiatura delle star, tanto che alla mattina presto abbiamo curiosato fuori dai cancelli di alcune stilose ville moderniste. Una è quella scelta per la luna di miele da Elvis, ad esempio, anche se le più belle sono quelle realizzate da famosi architetti.
Ma il nostro obiettivo era un altro: il Joshua tree National Park, la porta d’accesso per le terre selvagge. Il deserto del Mojave, con i suoi colori sabbiosi, è semplicemente una meraviglia, da attraversare in auto, o magari campeggiando all’interno. Noi vi abbiamo trascorso una mezza giornata, passando per alcuni dei punti classici indicati dalle mappe. Ogni scorcio, con le rocce che ricordano strane creature, ha una sua bellezza, ma dovendo scegliere non perderei la Hidden Valley, un sentiero ad anello perfetto per scoprire da vicino gli alberi protagonisti del parco: le yucca, grandi piante dalle dimensioni e forme più diverse.
E’ un paesaggio surreale, un po’ metafisico, che continua anche al di fuori, in quel tratto di Route 66 che abbiamo percorso per arrivare fino ad Amargosa Valley. Non l’avete mai sentita nominare? E’ molto probabile. Per poche centinaia di metri si è già in Nevada e per noi è stata una tappa per dormire fuori dalla Death Valley. Alloggiare al Long Street Inn and Casino, tra tappeti, oggetti d’epoca western e slot machines è davvero un’esperienza. Ci si sente un po’ a Las Vegas, un po’ in un saloon e ci si aspetterebbe la diligenza fuori dalla porta (in realtà c’è, ma è sul retro). E al risveglio all’alba, si ha la sensazione di essere finiti dentro Mad Max.
La sensazione continua sempre di più nella Death Valley, di gran lunga la tappa più affascinante e potente del viaggio. Si parte all’alba, per avere subito una panoramica dall’alto da Dante’s view, da cui si domina una distesa piatta, dove il sale mangia e confonde i colori terrosi. A Zabrinskie point è pura commozione, davanti a rocce bianche, lunari. Patrick ha dato una definizione che mi è piaciuta molto: è come se si vedessero i visceri della terra, ed è vero. L’incanto non passa, anzi, nelle Badwater basin, una distesa di sale in cui, voltandosi verso la montagna ci si accorge di essere in una depressione, a 85 metri sotto il livello del mare. E l’incanto cresce ancora nell’Artist’s palette, dove la strada, diventata a senso unico, si attorciglia, sale e scende fra rocce multicolori. Un miracolo della natura.
Il senso di gratitudine cresce fino a Furnace Creek, al centro della valle, dove fare rifornimento -anche di cibo volendo- e vedere il piccolo, ma prezioso museo con gli attrezzi utilizzati nell’estrazione del borace. Non so immaginarmi questa visita col caldo torrido che molti trovano qui d’estate, considerando i pochi gradi che c’erano la mattina!
L’auto prosegue fino a Lone Pine, dove si trova l’adorabile piccolo museo del cinema Western (Lone Pine Western Film History Museum); Big Pine, dove la sosta al diner è d’obbligo (o al Copper Top Bbq, purtroppo chiuso per ferie quando siamo passati), per poi salire fino al Lee Vining, fra il Mono Lake e la Sierra Nevada. Alle spalle dello Yosemite per intendersi. Il parco non era accessibile, con il passo chiuso per neve, ma la tappa si è rivelata poi la mia preferita (e la racconterò a parte). Con la Sierra Nevada candida alla nostra sinistra, abbiamo attraversato passi e vallate, per poi sbucare a Sutter Creek, dove sembra di tornare alla civiltà. E’ un villaggio ricco di abitazioni storiche, legato alla corsa all’oro in California, davvero delizioso, nel mio mirino soprattutto perché sta crescendo come zona vinicola. Una tappa spesso fuori dalle guide, ma che non andrebbe persa.
Se volete approfondire ho scritto qui di questa tappa: fra la Death Valley e Lee Vining
Le terre del vino
C0me dicevo, Napa era une delle tappe principali del viaggio, per ‘studiare’ un po’. Dei vini californiani sapevo veramente poco e, prima di continuare con le generalizzazioni, sono andata a vedere. La cittadina di Napa è davvero poco affascinante e non ti toglie mai la sensazione di trovarti in un centro commerciale. D’altro canto la via del vino vera e propria, con la distesa di vigne fiammeggianti e le colline sullo sfondo è stupenda, così come molte cantine, tenute spesso molto eleganti (o pacchiane, quando si è meno fortunati). I prezzi sono oscenamente alti, proprio come la qualità delle degustazioni, molto ben organizzate. Sui vini, dipende dai vostri gusti, ma in generale io qui mi butterei sui rossi.
Sonoma è la sorella un po’ più radical chic, quella ha lasciato la villa sui colli per vivere in una mansarda shabby chic. E’ più verde e fiabesca e le cantine un po’ meno costose. Anche di tutto questo, comunque, scriverò in seguito, ma l’esperienza è stata appagante, anche se i nostri cari vitigni autoctoni vincono contro quelli internazionali.
Se vi interessa approfondire ho scritto un post interamente dedicato alle cantine della California (e come visitarle)
L’oceano
In tutto questo vagare fra deserti, rocce e montagne, mi stavo dimenticando che la California l’ho sempre pensata come il regno delle spiagge chilometriche, del surf, del costume da bagno. E invece, dopo cinque giorni, non mi ero ancora tolta il pile. Ma per fortuna viaggiando capiamo qualcosa davvero e i luoghi comuni vengono spazzati via. Anche se poi, all’oceano Pacifico ci sono arrivata davvero, passando per una vera e propria porta, quella del Golden Gate. Attraversarlo in auto, dopo averlo visto migliaia di volte, è un’altra di quelle emozioni senza prezzo, in cui la realtà coincide con il sogno.
Tutta San Francisco lascia poi questo sapore, di toccare con mano un desiderio. Quello di trovarsi nelle mitiche strade su e giù e nel regno hyppie (quello vero, in questo caso) di Haight-Ashbury, per andare a salutare almeno col pensiero qualche mito che lì ha vissuto troppo e troppo poco. Ci sono le case colorate, i caffè sempre in mano, il quartiere giapponese e una strepitosa China Town. Serve altro?
Da qui non abbiamo potuto percorrere la classica strada costiera, la Highway one, a causa delle frane di qualche mese fa, ma abbiamo fatto comunque una puntata sull’oceano a Carmel, che mi è sembrata un po’ la Riccione locale, per quanto con una spiaggia decisamente meravigliosa. E dire che sarebbe il posto ideale per me, visto che almeno fino a qualche anno fa, vigeva un’ordinanza che vietava di girare con i tacchi alti. Mi ha lasciato un po’ tiepida la tappa a Monterey, dove comunque la clam chowder si supera (e poi il mare d’inverno non può fare miracoli, diciamolo), mentre mi ha emozionato Salinas, sonnolenta cittadina poco lontana. Salinas per me è luogo di ritorni, nel senso che è stato come tornare alla mia adolescenza, al James Dean della Valle dell’Eden, quando volare fino a qui sarebbe stato impossibile. Un altro sogno realizzato dentro il bel museo dedicato a John Steinbeck, che qui è nato e ha ambientato i suoi romanzi più importanti.
Los Angeles (che non assomiglia a nessun altro posto)
Ed eccoci tornati a Los Angeles, che per me sarà sempre associata al colore rosso: il rosso del traffico su Google Map. Mai più in Italia dovrò lamentarmi delle code dopo avere guidato qui! Dopo la tappa di rito a vedere qualche villa faraonica a Beverly Hills e a Sunset Boulevard (ahimè com’è bruttino il mitico teatro della Notte degli Oscar), abbiamo corso contro il tramonto per arrivare al Griffith Observatory.
E’ un luogo da non perdere per nessuna ragione al mondo, anche se non siete fan di Gioventù bruciata (ancora James Dean, scusate, e pensate che ha fatto solo tre film) o di La La Land. Intanto perché la città sotto di voi diventerà un mare di luci tremolanti, un po’ perché i rumori spariscono, un po’ perché l’edificio in sé, in pieno stile Art déco, è bellissimo. Ed è gratuito. In più all’interno, fra gli affreschi anni Trenta, è il paradiso del fissato di astronomia, del seguace di Piero Angela. Non avete mai capito bene come si alternano le stagioni o funzionano le maree? Andate lì.
Tutto il resto è cinema. Quindi sogno.
Due informazioni pratiche, due
Abbiamo preso il biglietto per Los Angeles dieci giorni prima della partenza, a 370 euro. Il volo, British Airways, prevedeva uno stop a Londra. Cosa che, potete immaginare, non è stato proprio un dramma (anche perché i bagagli sono volati direttamente in California, quindi è bastato portare a Londra uno zaino per la notte). Abbiamo dormito allo storico Generator Hostel, comodissimo per la linea Piccadilly (ci vuole circa un’ora ad arrivare da Heathrow, spendendo 6 pound a testa), ottima soluzione in centro (doppia con letti a castello, bagno in corridoio per 70 euro).
In California abbiamo noleggiato un’auto con la Hertz, per 16 euro al giorno, assicurazione compresa. E non era proprio un macinino, bensì una Toyota Corolla automatica che praticamente guidava da sola! Vi sorprenderà anche il prezzo della benzina, praticamente meno che la metà che da noi (2,5$ al gallone, circa 3,8 litri).
Per il pernottamento, abbiamo sempre dormito in motel, per una cifra media di 70 dollari a stanza. Devo dire che all’inizio ero un po’ scettica, mi aspettavo dei posti da film thriller, invece ci siamo trovati (tranne con un’eccezione che conferma la regola comunque) benissimo; stanze grandi, letti comodi ed enormi come solo gli americani possono concepire, e pulitissimi. E poi sono un pezzo di vita americana: ora ho capito perché tanti film e libri hanno qualche scena in motel!
E la California a dicembre com’è?
Il sole non è mai mancato e, montagne a parte, le temperature raggiungevano massime di 20-23 gradi, scendendo però, e molto, la sera. L’unica cosa con cui davvero bisogna fare i conti sono le poche ore di luce: il sole sorgeva alle 6 e calava intorno alle 16.30. Anche per questo abbiamo fatto un sacco di sveglie all’alba per sfruttare l’intera giornata.
1 Comment