Da un po’ di tempo ho una fissa e anche questo ultimo Capodanno ci è finito in mezzo. Si chiama Appennino, tosco-emiliano nel mio caso. La prima rivelazione l’avevo avuta un primo maggio fra Pianaccio e Poggiolforato, in mezzo a ortensie violacee, case di sasso e lampioni che sapevano di sale da ballo d’altri tempi. I boschi e quelle montagne che non sono mai troppo alte, ma non sono neppure i miei colli bolognesi, si sono fatti strada nella testa e sono andati a scavare molto indietro. E quindi continuo a (ri)cercarli questi posti sull’Appennino fra Bologna, Modena e la Toscana, un’area vasta che per me ha una grammatica comune, e quest’anno mi è venuta la fissa di passarci la notte di San Silvestro. Perché la gioia di trovarmi dall’altra parte del mondo può convivere con la convinzione che anche vicino a casa abbiamo molto da vedere. O forse sono a caccia di radici in una anticipata crisi di mezza età.

Montecreto
L’occasione è stata la casa che un amico ha messo a disposizione e Montecreto. Siamo a pochi chilometri da Sestola, nel Modenese, dove si scia all’ombra del Cimone. O almeno, si cerca di sciare in inverni che qui su regalano sempre meno neve e molti pratoni (ma comunque la neve c’è, al massimo viene sparata). Io mi avventuravo su questi tornanti per vedere d’estate la squadra del Bologna in ritiro, ma del paese non mi ricordavo niente. Lo ritrovo vestito a festa, fra falò nelle vie del centro, case dipinte come sulle Alpi, gente vestita da sci, di tutte le età. Vin brulè. Mi piace questo clima da montagna, condito da tigelle e zamponi in mostra nei macellai, anche se alzando gli occhi c’è un valzer di persiane chiuse, di cartelli di abitazioni in vendita. Lo stesso succede a Montecreto: il borgo è delizioso, sovrastato da un campanile. Hanno allestito casette di Babbo Natale fra stupendi castagni secolari ma, a mezzanotte, dopo qualche fuoco d’artificio, il paese è deserto. Eppure colgo che l’impegno per attirare visitatori c’è: hanno pure scritto un enorme #montecreto sulla strada.

Montecreto
Io spero che le cose cambino e che questi luoghi vivano una nuova stagione, tornando a essere mete scelte da chi vive in città (per molti escursionisti, anche stranieri, già è così). Almeno da chi, nell’infanzia, da queste parti ci è passato. Nella mia generazione nata negli anni Ottanta in tantissimi avevano la casa in quel raggio che va da Porretta al Corno alle Scale, fino a Zocca, il paese di Vasco, e Tolè. Un tempo in cui non si andava in vacanza, ma in villeggiatura, in cerca dell’aria buona: dopo una certa curva, cambiava sempre l’aria. Un tempo in cui il mondo era più grande, oppure semplicemente viaggiare costava di più e non era alla portata di un clic. Un tempo in cui si investiva nella seconda casa, mentre oggi ci vuole una bella dose di coraggio a comprare la prima. Un tempo in cui fra compagni di classe ci si invitava d’estate, con la nonna di turno che cucinava la sua versione personalissima (sempre la migliore) di crescentine, ragù e patate fritte. La mia quota di aria buona si trovava a Montombraro, dove era nata mia nonna Ida, nella frazione “delle Lamizze”, in una casa col balconcino che si andava a vedere almeno una volta all’anno, indicandola con la mano dall’auto.

In centro a Sestola
In questo inizio d’anno dall’auto sfilano immagini che non sono proprio le mie, ma è come se si trovassero tutte sullo stesso spartito. Ci sono le colline con i caseifici, i cucuzzoli suggestivi come Rocca Corneta. Ci sono i castagni- con le foglie d’estate ci si faceva i cestini per raccogliere le more-, ci sono i ristoranti che fanno i borlenghi, ma solo nei fine settimana. E tante case che stanno crollando, sulle curve, tante ombre in questo pomeriggio del primo gennaio.

Montecreto
Cosa fare
Ma anche se tutto questo sembra nostalgico, e un po’ lo è, la verità è che sono convinta che in questi luoghi ci sia tantissimo da fare (e da mangiare, soprattutto per chi ha la fissa del chilometro zero). E da vedere, da Marzabotto in avanti (io arrivo da Bologna, ma cambia solo l’ordine dei posti). Parto da qui, dove c’è il parco archeologico degli Etruschi: per molti sono i ‘cugini poveri’ di Greci e Romani, ma io li preferisco perché di loro sappiamo molto meno. E poi c’è il parco di Monte Sole, dove si vengono a ricordare i momenti più bui della Seconda Guerra mondiale, con i violenti rastrellamenti lungo la Linea Gotica. Anche questo fa parte del dna di tanti, non solo della mia famiglia (fortunatamente scampata alla strage di Marzabotto). Ci sono un cimitero e una chiesa sventrata: se cercate un momento di pace nel bosco, venite qui. Salendo ancora, c’è una chicca (da prenotare), la Rocchetta Mattei. Un angolo da Mille e una notte catapultato qui, a metà Ottocento: ha riaperto da poco dopo un lungo restauro, oggi fanno a sportellate per visitarla.
Andando dritti si arriva a Porretta, incastonata nella valle, a cavallo del fiume. Il fatto che ci siano d’estate un Festival del Soul e d’inverno uno dedicato al Cinema la dice già lunga sulla voglia di darsi da fare. Oltre al fatto di venire a comprare il mitico Tortino Porretta, le vere star sono le Terme. Lo stabilimento originale ha mantenuto una vocazione principalmente curativa, ma per chi volesse chiudersi in una bella Spa, lo storico Hotel Helvetia è perfetto (si può accedere anche senza dormire, ma telefonate prima. La parte termale è aperta fino alle 23).

Hotel Helvetia

Il forno Corsini, in attività dal 1875
Se invece di finire a Porretta, imboccate la strada verso Silla, salite verso il Corno alle Scale. L’aria cambia già a Lizzano in Belvedere, ma la svolta montanara è a Vidiciatico, dove si beve il mirtillino e ci si ferma alla fontana nel cuore del paese, con la sua acqua freschissima. La strada sale fino alla Madonna dell’Acero, la chiesa nel bosco, e fino al rifugio Cavone, dove c’è la seggiovia. Io la temo, con i suoi punti davvero ripidi, ma sale e scende da anni e anni alla neve che viene sempre meno e alla fine il suo spirito combattente va premiato. Da qui partono tante passeggiate bellissime, come quella lungo i sette balzi delle Cascate del Dardagna o verso, e questa è la mia preferita, verso la Valle del Silenzio. Da qui si arriva in vetta al Corno (1945 metri), per chi si avventura sui Balzi dell’Ora. L’alternativa più gettonata è il Lago Scaffaiolo, dove il rifugio Duca degli Abruzzi da tempo va alla grande: fra polenta, musica dal vivo e ciaspolate questo luogo oggi è vivace e divertente. Qui l’aria è davvero cambiata, e in un altro senso.

Lago Scaffaiolo

I balzi dell’ora (la foto però è estiva)
Se invece da Silla andate verso Fanano, varcate l’accesso per il Cimone. Si entra in territorio modenese, cambia l’accento. E qui torno al mio Capodanno. Al Lago della Ninfa ci sono i primi impianti e, a 1.500 metri, è bello mangiare nel rifugio, magari al sole, in compagnia degli sciatori. Salendo un po’ più su, c’è invece il Passo del Lupo, molto attrezzato per gli sciatori: anche qui, all’ombra di una simpatica funivia davvero vintage, la sosta bombardino al sole è una piccola gioia. Ma invece del gulash qui si mangiano tigelle. Le vere regine dell’Appennino.