Colline con alle spalle montagne innevate da cartolina. Sembrano quasi un mare i filari che si inseguono in ogni centimetro libero di terra. Castelli che escono dal passato e sovrastano piccoli borghi, ma che appena cala il sole si confondono nella nebbia. Le Langhe per me sono di colore giallo, come le foglie del Barolo, e rosso (quelle della Barbera), con i pampini incendiati dall’autunno. Ma, anche se ho visitato questo fazzoletto di basso Piemonte solo in novembre, scommetto a occhi chiusi che è uno di questi posti che dice la sua tutto l’anno. Deve essere bellissimo con le viti rigogliose e cariche d’uva d’estate, così come sotto la coperta bianca dell’inverno. Prima del corso dell’Ais, la provincia di Cuneo non mi aveva mai detto granché, nocciole a parte. Poi ho scoperto il Barolo e le Langhe sono diventate una tappa vinicola da conoscere al più presto. E così è stato.
Cosa vedere
Noi abbiamo deciso di concentrarci sulla zona del Barolo, intesa in questo caso come luogo di produzione della Docg. Mi riferisco a quella manciata di borghi e comuni, in cui l’uva Nebbiolo raccolta in vigna, dopo un riposino di almeno 36 mesi, si risveglia con il nome di Barolo. E questo può accadere solo qui, nel giro di pochi chilometri. Noi ci siamo fermati a Serralunga d’Alba, paese sovrastato da un castello e che mi è rimasto impresso per la forma circolare: in cima al borgo i tetti formano una chiocciola avvolta dai vigneti.
Cuccuzzulo simile anche a Monforte d’Alba, con un grazioso centro storico e a La Morra, con gli incredibili scorci sul Monviso. Dal parchetto più scenografico che abbia mai visto (ve la butto là se viaggiate con prole) sembra di sfiorare con la mano le cime innevate delle Alpi.
Sempre in questo comune si trova anche la curiosa cappella di Sol Lewitt e David Tremlett, una botta di colore abbagliante. Si tratta di una chiesetta sconsacrata che i proprietari dei terreni hanno commissionato ai due artisti, che, mi sembra, hanno giocato comunque con i colori della natura circostante: il rosso, il giallo e il verde delle vigne e l’azzurro del cielo.
Questo sotto, mentre ai piani alti del Castello dei Falletti, si trova il Museo del vino (WiMu). Anche qui la sorpresa è stata grande, perché l’esposizione è bella, divertente e istruttiva. Ogni sala dei tre piani è dedicata a un aspetto del vino dalla storia, al valore culturale, al lavoro in vigna. Un viaggio che non affronta tanto i lati tecnici/qualitativi del vino locale, quanto quello emozionale. In generale, fra giochi di luci, di suoni e momenti interattivi, quello che viene presentato è soprattutto il vasto immaginario che il mondo enologico si porta con sè. Bella anche la parte finale sulla storia del maniero e di Juliette Colbert, una donna che si è impegnata moltissimo per aiutare le altre donne, quelle più sfortunate, del suo tempo. Per una visita calcolate almeno due ore.
E poi, borghi a parte, la cosa più importante da fare è semplicemente guardare. Che sia da un finestrino o in sella a qualunque mezzo, queste colline vitate, così interpretate e modificate dall’uomo, sono il vero spettacolo da non perdere. Se non per infilarsi in qualche cantina.
Cosa bere
Inutile dire che le aziende vinicole sono ovunque, a ogni curva, sia dentro che fuori i paesi (in questo senso mi ha ricordato la Borgogna). Fra le uve, la star qui è il Nebbiolo, ma non solo. Anche Barbera, Bonarda e Dolcetto sono uve simbolo, così come, nell’universo dei bianchi, l’Arneis (interessante anche la Nascetta). Generalmente i produttori incontrati sono stati molto gentili, ma è ovvio che in due giorni la nostra lista non è stata lunghissima. Consiglio di prenotare prima, perché queste sono vere e proprie aziende sempre al lavoro e può capitare che se piombate all’improvviso in certi orari i titolari non abbiano tanto tempo da dedicarvi. In questo sito potete trovare già molti indirizzi, con relativi orari. Nei casi di aziende più grandi, sarà più curato l’aspetto della degustazione, con un servizio ad hoc. Nelle altre… beh chiamate. Faccio tre esempi di situazioni completamente diverse che potete trovarvi davanti.
1) Gigi Rosso. Il tradizionale
La cantina si trova a Castiglione Falletto ed è una realtà storica del territorio, che si tramanda da generazioni. Ci siamo presentati a sorpresa e il titolare ci ha gentilmente improvvisato una degustazione delle sue principali etichette, tutte impeccabili. Ci ha spiegato, con mappa alla mano, le differenze fra le zone e i disciplinari di produzione. Sapido e profumato l’Arneis e decisamente per appassionati del genere il Dolcetto, particolarmente corposo, con la sua bella scorta di tannini. Noi abbiamo comprato due bottiglie, ma non ci era stata fatta nessuna richiesta da parte del produttore: non è una cosa da poco qui. Non credo di esagerare se dicessi che un giro per cantine nelle Langhe dovrebbe iniziare da qui per farsi un’idea chiara dei vini locali, con un buon rapporto qualità/prezzo. Ah, c’è anche un agriturismo.
2) Flavio Roddolo. Il contadino
Non so se è la parola più corretta, ma è la prima che mi viene in mente se penso alla nostra visita alla cantina di quest’uomo ruvido, ma gentile, di poche parole, ma di molti fatti. Con il suo viso segnato del tempo mi è sembrato un anello di congiunzione fra noi e la terra e quei filari che conosce uno a uno. E’ l’espressione dell’uomo nato in Langa, forse, che sa che il vino viene buono in vigna, non (solo) in cantina. O almeno così mi è parso mentre ci indicava i ‘bricchi’, le varie tenute, aziende legate al territorio da sempre, dalla cima della sua.
Abbiamo telefonato in mattinata e siamo riusciti a strappare un appuntamento alle 17. Da quello che abbiamo visto dopo è stato un mezzo miracolo, perché Roddolo si affida ancora a un vecchio telefono fisso (di quelli grigi che una volta avevamo tutti in casa) e risponde solo se ha tempo (o se gli va). Nessuna segreteria, pochi aiuti e se è impegnato in cantina (“dove serve concentrazione, devo pensare su quello che faccio”) chi lo becca più. Ci ha guidato in modo asciutto fra le botti della cantina, presentandoci tutti i suoi vini con generosità, riserve comprese. Mi sono sembrati vini perfetti, in cui il tannino di queste uve è sempre giustamente addomesticato mentre i profumi inebriano il naso. Interessante anche il Bricco Appiani, un suo esperimento fuori zona a base di cabernet sauvignon (quattro viti nella guida dell’Ais 2016 per la bottiglia del 2008, comunque). Siamo usciti dalla cantina che era buio, scaldati dai 7 stupendi vini appena assaggiati, che fanno sciogliere anche la conversazione. In quell’ambiente spoglio ed essenziale, infatti, si è parlato dell’elezione di Trump, di cellulari e dei nuovi ricchi stranieri che comprano i vigneti. “Non si devono perdere le radici”, ha scosso la testa Roddolo. Lui che più di ogni altra persona mi ha trasmesso l’idea di essere tutt’uno con un luogo.
3) Fontanafredda. Il red carpet
Ma non lo dico mica con un’accezione negativa. Anzi. In questa enorme azienda che produce ogni anno circa 6 milioni di bottiglie e che ha praticamente la stessa età dell’Italia la visita è un vero piacere. Certo, lo spirito è di tutt’altro tipo e lo sicoglie subito entrando nella reception che è anche libreria e ristorante Eataly. Oscar Farinetti, infatti, è uno degli azionisti principali di questa realtà, che ha riscattato da qualche anno anche lo storico marchio Mirafiori, ceduto alla Banca Monte dei Paschi di Siena all’inizio del secolo scorso. Beh dicevo, noi abbiamo prenotato per la visita guidata delle 15.30, durata un’ora e mezza abbondante, passando per gli alloggi dei dipendenti, il ristorante stellato Guido, fino alla cantina. Anzi, più cantine, visto che ci sono ancora quelle reali, in una perfetta miscela di storico e nuove tecnologie. Poi si passa alla degustazione guidata di tre etichette (con un unico biglietto a 15 euro) nel piccolo anfiteatro predisposto per gli eventi: nel nostro caso abbiamo assaggiato un’Alta Langa (spumante metodo classico, in versione rosè), una barbera e un barolo (ancora giovincello). Tutto bello, di qualità e professionale. Un po’ più freddo, questo sì.
Dove mangiare
Non avrete che l’imbarazzo della scelta, la cucina qui è molto tradizionale e, se amate il tartufo bianco, nella zona di Alba non potreste chiedere di più (una ‘grattata’ mediamente costa 35 euro). Noi abbiamo fatto scorta di vitello tonnato e tartare di manzo (serviti qui come antipasti), ma anche delle due paste tipiche, i ravioli dal plin (ripieni di carne) e i tajarin. Per i più impavidi c’è anche sempre la bagna cauda. Segnalo qualche posto: tutti sono facilmente reperibili sulle guide, mi limito a confermare che in effetti sono buoni e, per un pasto con un calice di vino, si spende circa 25 euro.
A Barolo abbiamo mangiato benissimo nel winebar Barolofriends: in posizione centralissima, proprio sotto il castello, è molto gradevole anche all’interno. Ottimi piatti anche nella frequentata enoteca More e macine a La Morra e alla Cascina Schiavenza di Serralunga d’Alba: un posto più tradizionale, ma di grande qualità.