Assieme alla mia rubrica post nemici del ‘seo‘ e dei motori di ricerca – in cui racconto trasognati itineari in Italia- ce ne vorrebbe una ‘post su viaggi organizzati all’ultimo in un Paese completamente diverso da quello previsto’. Che è poi quest’ultimo caso: se l’anno scorso volevamo andare in Cina e ci siamo trovati in California, per marzo avevamo puntato le Hawaii e invece siamo finiti in Cina. Per chi non si fermerà qui nella lettura pensando che siamo solo degli squinternati (e poi, ovvio, non è che stiamo parlando di scegliere fra, chessò, Ozzano e San Lazzaro, giusto per citare i primi due posti vicini a casa che mi vengono in mente), provo a raccontare il nostro itinerario di 5 giorni fra Shanghai e ‘dintorni’, anche senza visto, ma con il permesso temporaneo di 144 ore che si può fare direttamente all’aeroporto se si è in transito verso un altro Paese. Che nel nostro caso, manco a dirlo, era il Giappone.
I44 ore di Cina anche senza visto
Ovviamente, prenotando all’ultimo (dieci giorni prima circa), eravamo molto stretti con i tempi del visto, documento da fare in Italia obbligatoriamente prima di ogni viaggio in Cina. E così abbiamo prenotato un aereo per il Giappone, con tappa intermedia a Shanghai e scalo su Pechino al ritorno (a proposito, un volo di questo tipo, comprato con questi tempi, a marzo, è costato 600 euro con Air China). In questo modo, una volta arrivati a Shanghai, abbiamo chiesto un ‘visto temporaneo’ che cambia da regione a regione.
Mi spiego meglio: nel nostro caso, il documento permetteva di visitare Shanghai e altre zone limitrofe, come le province Zhejiang e Jiangsu, dove si trovano Hangzhou e Suzhou. In altre parole, non avremmo potuto, ad esempio, visitare nell’arco di questo viaggio anche una città dello Yunnan o, per dire, la Grande Muraglia. Inoltre, questo visto cambia come caratteristiche da zona a zona. A Chengdu, ad esempio, si può stare 144 ore, ma senza uscire dalla città. Insomma, va verificato per ogni destinazione, ad esempio su questo sito.
Già, ma come si fa? Nel caso di Shanghai, appena sbarcati siamo andati verso lo sportello particolare della Immigration – il numero 1, ma non è detto che sia sempre quello-, dedicato a questo tipo di visto, che è gratuito. In precedenza avevamo già lasciato le impronte digitali alle macchinette automatiche e quando siamo arrivati allo sportello, il poliziotto ci lasciato un foglietto da portare sempre con noi nel passaporto, che va riconsegnato al momento della partenza.
L’itinerario
Ecco qui il nostro itinerario per queste 144 ore di Cina. Gli amanti e conoscitori del Paese si contorceranno sulla sedia a vedere quanto poco tempo abbiamo dedicato a certi posti, ma abbiamo deciso comunque di avere un assaggio di più città e tornando indietro farei la stessa cosa. Anche perché gli spostamenti in treno sono davvero molto veloci e consentono di coprire in pochissimo grandi distanze. Poi, ovvio, Shanghai meritava come minimo un paio di giorni in più. Che dire, speriamo di tornare a completare il quadro.
- Shanghai
- Suzhou- Tongli
- Tongli- Hangzhou
- Hangzhou e ritorno la sera a Shanghai
- Shanghai e volo serale per Osaka
Shanghai
Siamo arrivati all’alba e quindi siamo riusciti a prendere il primo treno a levitazione magnetica (Maglev) che dall’areoporto di Pudong porta fino a Longyang Lu (2 biglietti 80 yuan). Da questa stazione abbiamo poi preso una metropolitana fino alla Concessione Francese, dove si trovava il nostro albergo. Devo dire che fin qui l’impatto è stato soft: il treno che tocca i 430 chilometri orari è già un viaggio nel viaggio (si percorrono 40 chilometri in 7 minuti) e la metro, rispetto anche solo a quella di Tokyo per dire) è molto chiara, considerando che le 16 linee servono una città da 25 milioni di abitanti: i biglietti (economici) si comprano in macchinette automatiche con spiegazione in inglese (almeno qui, non sarà altrettanto facile nelle stazioni ferroviarie).
La zona della Concessione francese è particolarmente bella, alberata, con case dagli stili un po’ disparati, ma dallo stampo europeo: non a caso in questa parte della città vivono molti stranieri e si trovano tanti ristoranti e locali carini. In generale, consiglio di dormire qui, tra l’altro ci sono diverse fermate della metro, ma non bisogna pensare che sia così facile arrivare a piedi dappertutto: come in tutta la città, le distanze sono enormi e tutto è davvero fuori scala per i nostri parametri. Fra le cose da vedere in questa zona, in particolare a Xintiandi e Tianzifang, ci sono sicuramente le abitazioni tradizionali shikumen, oggetto negli anni di un’operazione di restauro. Purtroppo sotto la pioggia battente che non ci ha dato tregua, la nostra non è stata proprio una passeggiata piacevole, soprattutto quando, con le gambe fiaccate dal jet lag, abbiamo penato per farci caricare da un taxi – una costante un po’ ovunque questa.
L’altro motivo davvero valido per visitare la Concessione Francese è il piccolo museo Propaganda Poster Art Center. Gratuito, si trova nel piano interrato di un palazzone e ripercorre tra pubblicità e immagini del tempo la propaganda comunista fino a tempi molto recenti. Davvero una rarità da non perdere (non si possono fare foto, ma acquistare copie delle stampe).
Come già detto, a Shanghai siamo stati sicuramente poco e alcune delle attrazioni principali sono state funestate dal maltempo – ad esempio non siamo praticamente riusciti a vedere oltre la nebbia Pudong, la parte avveniristica della città al di là del fiume, dove le baracche dei pescatori nel giro degli ultimi anni hanno lasciato il posto a grattacieli scintillanti -, ma vorrei comunque citare tre cose che mi sono piaciute moltissimo.
Il giardino Yu. Se il bazar attorno vi lascerà un po’ interdetti (è veramente kitsch), concedetevi comunque un po’ di straordinari bao. Sono ravioli ripieni di carne di maiale e cotti al vapore, preparati in vetrina proprio come fanno a Bologna con le sfogline: sono economici e buonissimi. Scusate la divagazione sul cibo (che comunque giustifica un viaggio fin qui), torno al giardino tradizionale, davvero stupendo. Un po’ perché è una pausa di quiete (ma arrivateci presto) dal delirio della città e poi perché all’improvviso ci si trova in un mondo fatto di grazia, alberi fioriti, draghi che spuntano dai muri, laghetti… insomma un idillio di geometrie da non perdere.
L’altra è il museo di Shanghai, in piazza del Popolo. L’abbiamo scelto, confesso, per ripararci dall’acqua, ma abbiamo fatto bingo. Visto che è gratuito, può essere sufficiente visitare il piano terra, per fare un viaggio millenario nelle diverse epoche e regioni della Cina attraverso sculture straordinarie. Davvero emozionante.
La terza dritta vale per il Bund. Sicuramente è suggestivo esplorare le differenze fra gli storici edifici lungo il fiume scorrendo le facciate, ma non perdetevi la visita anche all’interno di due mitici hotel, il Peace e il Waldorf Astoria: entrare nelle hall è come tornare indietro alla Shanghai degli anni Trenta.
Shanghai-Sozhou
Il secondo giorno di buon’ora siamo andati nella deliziosa cittadina fluviale di Tongli passando per Sozhou, famosa per i suoi giardini sparsi in un nucleo storico scandito da canali. Da Shanghai si raggiunge in poco più di un’ora di treno proiettile: una sorta di Shinkansen, ma molto più conveniente (circa 9 euro a tratta). La sfida, come sempre, è salirci su quel treno: a partire da riuscire a saltare su un taxi, spiegare – nessun tassista e dico nessuno parla inglese o è interessato a parlarlo – in che stazione della città si vuole andare e comprare un biglietto.
Nella Shanghai Station è inutile tentare di andare alle macchinette – a meno che non capiate il cinese, ovvio-. Il biglietto si compra allo sportello e per stranieri ce n’è uno solo: guardate bene sul vetro, c’è una scritta piccola, ma c’è (è la stessa fila per donne incinte e portatori di handicap, vabbè): dovrete esibire il passaporto e, come sempre, attraversare svariati metal detector con le valigie. In compenso, la stazione è molto bella e, come dimensioni, sembra un nostro aeroporto.
Arrivati a Sozhou la nuova avventura è stata trovare il deposito bagagli: nella solita fiera dell’incomunicabilità, abbiamo capito che si trova solo dal lato nord della stazione (in fondo a destra del tunnel sotterraneo). Da qui si prendono anche i taxi in transito per arrivare fino alle porte del centro storico: proprio all’inizio dell’area pedonale si trova anche il museo di Suzhou, progettato da I.M.Pei. E’ interessante soprattutto per l’architettura, ma è gratis, quindi perché non farci un giro. I giardini da visitare sono molti, sicuramente bello è quello dell’Umile Amministratore, ma ammetto che vale il viaggio la tappa in un ristorante storico Yaba Shengjian per i loro xiang long bao, ravioli fritti ripieni di carne e brodo. Il mio piatto preferito di tutto il viaggio, per pochissimi euro (tipo 10 euro in due).
Tornati alla stazione, abbiamo ripreso un taxi per arrivare a Tongli: doveva essere un viaggio di mezzora, ma il tempo è raddoppiato per dei lavori stradali e il traffico (la corsa è lievitata fino a 170 yuan, ma stiamo parlando di 22 euro in due, quindi non mi lamenterei) . Quando siamo arrivati alle porte del centro storico di questo delizioso villaggio si stava già facendo sera e, attraversando il primo ponte di pietra, siamo entrati in un’altra dimensione.
Sono infiniti i motivi per cui ho amato questo luogo, che secondo me si apprezza appieno solo fermandosi a dormire: per le case basse di pietra su una trama di canali, perché tutto all’improvviso torna piccolo e a portata di piedi. Per le lanterne che brillano sull’acqua, i vivaci ristorantini sul fiume. Per la casa tradizionale che ci ha accolti, con persone all’improvviso gentili, per la cena straordinaria nel ristorante di un vecchietto che ci spiegava i piatti traducendoli sul telefono, per i giardini meravigliosi. I negozietti e il giro in barca sul canale, scivolando sull’acqua, sfiorando i ponti con la testa come in quegli angoli più defilati della laguna veneta.
La storia si tocca, si sente, e in un Paese con città gigantesche davvero fa una bella differenza. Ma senza un’atmosfera troppo patinata: la vita scorre nella sua quotidianità, con tanto di dettagli pulp. Come la gallina sgozzata direttamente sul canale la mattina, giusto per non sentirsi troppo turisti.
Tongli-Hanghzou
Da Tongli siamo ripartiti il pomeriggio successivo con un autobus diretto a Hanghzou, città famosa per il lago occidentale nella regione dello Zhejiang, una di quelle previste dal visto temporaneo. Il biglietto – 56 yuan – ci è stato gentilmente prenotato sul sito dal personale della nostra guesthouse, quindi per una volta è stato più facile orientarsi una volta arrivati in autostazione (leggermente fuori dal centro storico, ma raggiungibile in una mezz’ora massimo a piedi).
Il viaggio è durato circa due ore, tempo in cui fuori dal finestrino continuavano a scorrere immagini di una campagna un po’ depressa ed enormi palazzoni in schiera.
Devo dire che, con il sole velato che sprigionava una luce fredda e grigiastra, mi sono sentita più volte all’interno di Blade Runner 2049. In questa atmosfera un po’ surreale siamo arrivati all’autostazione di questa città enorme (7 milioni di abitanti), raggiunta dopo venti minuti buoni di taxi fino alla città vecchia, lasciandosi alle spalle uno skyline di edifici mastodontici, dall’aria minacciosa. Un clima che cambia completamente nelle varie parti della città, sia in quella pedonale, in cui si trovava il nostro ostello (molto carino, lascio il link perché lo consiglio proprio), che quelle sul lago.
In generale, la prima mi sembra la zona più comoda in cui pernottare, anche se quelle sponde che sembrano tanto vicine sulla mappa in realtà, per essere raggiunte, richiedono ancora una volta un taxi o quanto meno una bici (noleggiabile facilmente). Visto che si stava facendo buio, abbiamo deciso di rompere il ghiaccio con la città nei due modi che preferisco: dall’alto del vicino City God Pavillon (stupendo quando è illuminato) e mangiando.
Il modo più semplice si è rivelato in uno dei centri commerciali sul lungo fiume: lo so, venendo dall’Italia sembra un’eresia, ma qui come in Giappone in questi mall si trovano spesso ottimi ristoranti e non è da buttare via neppure il fatto di avere un menù in inglese, vi assicuro. Comunque sia il Green Tea è stato un’ottima scelta (ci sono altri punti in città), con una buona cucina del territorio presentata benissimo (160 yuan in due).
Il giorno successivo ci siamo dedicati alla parte che ci stava più a cuore, quella delle piantagioni di tè di Longjing: è una varietà molto pregiata, e costosa, che viene coltivata sulle colline sopra la città, vicino all’omonimo villaggio. E’ una visita straordinaria, perché in pochi chilometri ci si trova all’improvviso un’atmosfera rurale, con quell’immersione in un mondo fatto di tonalità verdi che così tanto amo dell’Asia.
Longjing
E il lago? Ci siamo andati dopo pranzo, raggiungendolo direttamente in bus da Lonjing: solo uno scende dalla collina, non potete sbagliare e porta alla riva occidentale. Noi abbiamo attraversato l’isola Gushan e il terrapieno che ricongiunge all’altra sponda. La camminata è piacevole, in una selva umana di gente, selfie stick, barche e aquiloni: se temete la folla, non venite qui!
Appendice finale: siamo tornati a Shanghai in treno, ma non fate come noi l’errore di non prenotarlo prima, soprattutto se è un venerdì sera. Siamo riusciti a prendere l’ultimo per il rotto della cuffia in una stazione straripante di persone dai mille tratti somatici: gente con gli zaini, famiglie cariche di sacche che sembravano dirette in ogni angole sperduto dell’Asia. Forse lo erano.