Vi è mai capitato di arrivare davanti al gate, di mettervi in coda con gli altri passeggeri e poi girare i tacchi e andarvene? A me purtroppo sì e, settimane dopo, se ci penso mi vengono ancora i brividi. Aereo per Atene in partenza, itinerario tiratissimo, ma fattibile, per il Peloponneso in testa e, niente, quel collo che inizia a diventare di legno. Un male già sbucato giorni prima, messo da parte (“tanto fra qualche giorno parto e mi passa”), fino a quando diventa il più scomodo dei bagagli. Niente, decido mestamente di restare a Bologna, per andare a farmi visitare. Non che non avessi già testato i medici greci in miei precedenti camei di viaggio (leggendario il punturone di cortisone a Corfù), ma magari questa volta anche no.
Dove voglio andare a parare? Che alla fine, per tentare di oziare come suggerito dall’ortopedica senza perdere completamente qualche giorno libero, abbiamo ripiegato sulla Toscana. Quella Toscana da cui tutto è partito lo scorso maggio, quando ho inaugurato il mio piccolo grand tour in giro per l’Italia. Sì, perché, come ho già scritto qui, la mia è stata un’estate strana, fatta di giri in cui mi sono goduta parecchio il nostro Paese. Alcuni li ho scoperti per la prima volta, in altri casi è stato un piacevole ritrovarsi. La cosa più bella, poi, sono stati gli incontri. Provo a raccontarlo in questo post-flusso di coscienza: ecco le mie cartoline dall’Italia, itinerari possibili nel nostro Paese. Sono posti che ho visto nel corso di vari mesi, ma li propongo lo stesso perché credo che siano perfetti anche per la stagione autunnale.
Andateci in giro per il mondo, che è gioia pura, ma prendetevi del tempo anche per quello che è più vicino a casa. E per i vostri amici.
Arezzo
Il meteo aveva annunciato terrore e tragedia: un intero fine settimana di temporali. Ma noi a trovare Danilo e Yumiko ci siamo andati lo stesso e abbiamo fatto bene, perché Arezzo ci ha accolti con il sole. La Toscana è davvero una terra benedetta: camminare fra borghi, ulivi e chiese secolari mi emoziona tutte le volte. E i nostri Virgilio in terra aretina – anche se il Giappone era pur sempre l’argomento principale di conversazione – ci hanno svelato posti nuovi nonostante fossi venuta da queste parti già altre volte. Come Lucignano, dove andare a zonzo fra case di pietra, fino alla chiesa di San Francesco. Oppure la chiesa di Santa Maria del Calcinaio, gioiello (che ha un grande bisogno di essere tutelato, se passate firmate per il suo restauro) all’ombra di Cortona. E poi Monte San Savino, borgo pieno di insidie per i vegetariani. Se non fate parte di questo gruppo, dopo avere assaggiato la porchetta (servita calda e spessa) delle Delizie di Aldo, il mondo vi sembrerà un posto migliore.
Tre laghi in tre giorni? Si può
La direzione era la Brianza, dove ci aspettavano Cabiria e Raffaele. Ma abbiamo deciso di prenderla alla larga, iniziando a salire lentamente, un po’ a caso, con in macchina pochi bagagli e tante guide di cantine e ristoranti. Anche in questo caso, previsioni meteo apocalittiche, quindi perché non puntare sulle terme? Primo stop, Sirmione, lago di Garda. Il borgo, racchiuso dalle mure scaligere e completamente abbracciato dal lago, è incantevole. Detto questo, ci hanno provato in tutti i modi a peggiorarlo con quei negozi uguali dappertutto e gelaterie pensate per sfamare un’orda di giganti affamati. Ma, anche così, le terme da cui si sfiora l’acqua sono fra le più belle che io abbia mai visto e le consiglio sul serio, soprattutto per i suggestivi spazi all’aperto. Da lì abbiamo costeggiato il lago verso Malcesine, per salire sul Monte Baldo. Anche qui c’era da fare a sportellate con i turisti, soprattutto tedeschi: per montare in funivia (cara) ci siamo fatti un’ora di coda, ma devo dire che ne è valsa la pena. Dalla cima il paesaggio è maestoso, ci si sente affacciati su un fiordo, in un contesto che fa pensare al Nord d’Europa, dove il blu dell’acqua si mescola al verde intenso delle montagne.
Secondo stop, lago d’Iseo. A essere sincera è stato proprio un assaggio, per avvicinarci alla Brianza. Abbiamo visto solo Sarnico, la nostra tappa per la notte, in cui è stato bello trovare case e spirito completamente diversi dal Garda. Ci siamo goduti un giro in bici sulla riva fra cigni schiamazzanti, un calice di Franciacorta (che qui gioca in casa) e una cena strepitosa. Piccoli, grandi piaceri per chi, come noi, non ha azzeccato troppo i tempi (la settimana dopo c’è stato il boom di visite per l’installazione di Christo, prossima volta dai).
Ed eccoci arrivati a Verderio. Anche in questo caso abbiamo avuto guide fantastiche nello scoprire non solo verdissime colline e nuovi borghi (non so se si è capito che ho una leggera fissa per i paesini), come Montevecchia, ma anche un fiabesco mondo acquatico, il regno dell’Adda. Suggestioni letterarie si sono riaffacciate subito in questi luoghi che si tingono di azzurro e verde, fra sentieri nei boschi per ciclisti (pure quelli della domenica, va detto) e passeggiate sulle chiuse. Da qui ho scoperto quel ramo del lago di Como che mi mancava, la parte di Lecco. Rivista anche mesi dopo per Immagimondo, l’ho trovata una città con un bellissimo affaccio sul lago e dall’atmosfera vivace. Sulla cucina locale non posso dire nulla: ma sul simpatico iraniano Cardamomo in cui siamo andati a cena posso solo commentare… 10 e lode! Come alla compagnia del resto.
Calabria
Fino a poco tempo fa per me era una regione sconosciuta. Poi, dopo essere arrivata con due aerei (!) a Lamezia Terme, la Calabria mi si è presentata con boschi, continui su e giù e squarci di mare azzurrissimo. Questa parte d’Italia strizzata fra due colossi turistici come la Puglia e la Sicilia ha veramente bisogno di rifarsi un po’ il look, di cambiare pelle nell’attrarre i visitatori, ma non ha nulla da invidiare ai luoghi più famosi del nostro Mediterraneo. Il punto è proprio questo: la Calabria era Magna Grecia, non una colonia lontana, ma proprio madre patria scelta dagli antichi greci. E ancora questo spirito si coglie, in tantissimi posti, purtroppo disseminati in punti piuttosto lontani, tanto che su quelle strade calabre mi sono sentita a volte una pallina del flipper.
Quello che più mi ha colpito è la palpabile presenza della storia e della stratificazione di questa terra di passaggio. Castelli normanni (bellissimo quello che domina Cosenza) si alternano alle torri saracene che scrutano la costa. Ci sono borghi sonnolenti come Badolato, opulenti e intatti come Gerace e colorati come Diamante, regno del murales e della granita al cedro. Ma è soprattutto il contatto con la mia amata Grecia che mi ha lasciato una grande voglia di tornare nella punta dello Stivale. Ad esempio a Stilo, dove si visita la Cattolica, una chiesa bizantina circondata dai fichi d’india che conserva stupendi affreschi e regala un’atmosfera che sa di Oriente. E poi c’è Bova, paese in cui una trentina di famiglie parla ancora un dialetto greco, fino a Reggio Calabria, dove il Museo archeologico nazionale custodisce reperti unici (e non solo i Bronzi di Riace). Io però ci sono rimasta un po’ sotto con il liceo classico, va detto.
Fra Parma e Piacenza
Una fetta di regione che conoscevo pochissimo era quella in cui abitano Paola e Gianni. Una terra che sa di confine quella ‘bassa’ in cui finisce l’Emilia e la lingua che parlo da sempre si veste di suoni nuovi. L’impatto con Fiorenzuola d’Arda è stato con i salumifici annunciati lungo la strada: mi sono sentita decisamente a casa, così come nelle stradine del centro dove si srotola una tranquilla vita di provincia (menzione speciale per la gelateria Meno Dieci, il proprietario è un vero artista). Ma sono state soprattutto le colline dei dintorni a farci sentire questa gita strappata nel giorno libero come una piccola grande fuga dalla città.
Il verde circostante è punteggiato da tanti piccoli castelli e le nostre guide speciali, che conoscono la nostra passione (o fissazione) per il vino, ci hanno portato proprio nella cantina che si trova all’interno di uno di questi. Così ho scoperto la Cantina Luretta, nel Castello di Momeliano a Gazzola, in un crescendo di sorprese. Prima dentro la suggestiva cantina, dove dalle luci soffuse affiorano oniriche e ironiche sculture, poi nella sala di degustazione, illuminata da una grande vetrata aperta sulle colline. Qui infatti ho avuto modo di ricredermi sui vini piacentini, che di fatto, Gutturnio a parte, conoscevo poi molto poco. Anche se a colpirmi più di tutti sono state le bollicine, a partire dallo spumante Brut Principessa (nella versione pas dosè da Chardonnay e Pinot Nero). Difficile credere, sorseggiando questi vini, di essere ancora in Emilia, ma tutto qua, per competenza e raffinatezza dei vini, fa impallidire zone ben più blasonate. Ah, per me è stata anche un’ottima occasione di assaggiare la Malvasia di Candia, fino adesso conosciuta solo sui libri dell’Ais. Una delle cantine più interessanti da parecchio tempo. In una delle giornate più belle dell’estate.
Toscana, di nuovo
Ed eccoci dunque in Val d’Orcia, di nuovo, per colpa del mio collo malandato. Ma non ci è andata poi così male, visto che a settembre le giornate da queste parte sono ancora incantevoli. Anzi, forse è proprio la stagione migliore, con gli alberi carichi di fichi che attendono solo di essere raccolti e mangiati. Questi luoghi intorno a Siena li conoscono in tanti (qui ne avevo scritto in chiave invernale), ma ho avuto l’ennesima conferma che non mi stancherò mai di questi casali in pietra dalle persiane colorate, dei tramonti sulle colline orlate di cipressi, delle campane dei monasteri che rintoccano da secoli, di un bicchiere di vino bevuto in piazze perfette, come quella di Cortona. Sono luoghi del cuore e non c’è nient’altro da aggiungere più di così.
Le Langhe
Fra le zone italiane più famose per il vino questa fetta di Piemonte ci mancava e così abbiamo voluto rimediare in un paio di giorni liberi. Siamo appena tornati, ne scriverò presto meglio, ma questa terra a forte vocazione agricola mi ha entusiasmata.
Saranno stati i colori dell’autunno che incendiavano le colline, sarà lo spirito di certi produttori incontrati, così radicati nel loro territorio. Sarà la storia di certi vini, che hanno bisogno di tempo per affinare il carattere, proprio come gli esseri umani. Sarà per la bontà dei piatti, come la carne cruda e i dolci con le nocciole (il celebre tartufo bianco lo abbiamo solo annusato, per chi è meno in bolletta costa circa 35 euro a grattata). Sarà per gli echi letterari, in questi luoghi di castelli, battaglie e resistenza. E libri. Questo è quello che preferisco.
“C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire “ecco cos’ero prima di nascere”. Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione”.
La luna e i falò, Cesare Pavese
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