C’è chi mi ha detto vai che è tanto carina e chi invece mi ha detto che rispetto ad altre città spagnole gioca in un altro campionato. Io so solo che a me Valencia è piaciuta moltissimo.
Forse anche per le aspettative che erano alte, ma non stratosferiche. Forse per la compagnia dell’adorabile Paola e i buffi incontri che abbiamo fatto. E forse perché dopo un po’ di mesi che non salgo su un aereo, poi quando comincio a disegnarmi una nuova meta in testa e quella meta inizia a farsi sentire sotto la pelle, come un solletico, allora poi mi godo questi viaggetti fuori stagione come un grande regalo. E Valencia, in tre giorni, ci ha accolte col suo sorriso migliore: col sole e di domenica. Si è fatta conoscere facilmente, come un compagno di classe estroverso. Non sarà Parigi, non sarà New York, ma mica lo pretende. E, semplicemente, si sta bene.

Valencia, la domenica in piazza
Il nostro itinerario di tre giorni (anche un po’ meno)
Non so perché dall’Italia abbiamo la convinzione che in Spagna faccia sempre caldo. Beh, insomma, novembre è novembre in tutto il Mediterraneo ed è inutile dire che un po’ di pioggia ce la siamo presa. E così abbiamo un po’ improvvisato i giri (anche) in base al meteo: nel momento più inclemente, ad esempio, ce ne siamo andate all’acquario. Ma Valencia permette questa improvvisazione, visto che il centro storico è abbastanza compatto e si gira bene a piedi. Scoprendo la cosa più bella: che quella che scorre sotto gli occhi non è una sola città, ma tante, con spaccati e anime completamente diversi.

Città vecchia
Primo giorno: la città vecchia di Valencia
Siamo arrivate alla domenica mattina presto, con la città che si stava ancora stiracchiando sotto un sole stupendo. Dopo avere provato subito una specialità locale come l’horchata (bevanda dolcissima fatta con le chufas, tipo piccoli tuberi), la prima tappa è stata la Cattedrale. All’interno c’era la messa in corso e quindi non abbiamo visitato proprio tutta la chiesa, ma siamo riuscite a entrare (gratuitamente) nella Capilla del Santo Càliz. Ora, che quel calice sotto vetro sia davvero il mitico Graal non saprei dirlo (io rimango alla versione di Indiana Jones della coppa di legno), ma vale la pena di entrare anche solo per la bellissima sala, affrescata e dall’atmosfera raccolta.
Si può salire sul campanile o proseguire in Plaza de la Virgen, che mi è sembrata un po’ il cuore della Ciutat Vella nord. Forse perché pulsava eccome di vita, fra balli tradizionali e gente seduta sui tavolini al sole. Bella la fontana che rappresenta il fiume Turia placidamente sdraiato, bella la Basilica dedicata alla patrona, con la sua forma circolare.

La fontana che rappresenta il fiume Turia, a Valencia
Il dettaglio della domenica, in questo punto della città, non è da poco, perché si può accedere gratuitamente a musei e monumenti. Come l’Almudìn, il granaio quattrocentesco della città, o La Almoina, con gli scavi archeologici. Il percorso sotterraneo è interessante, da veri Alberto Angela a spasso nel tempo dai romani al periodo islamico, ma l’aspetto più suggestivo è sicuramente il fatto di camminare al di sotto di una vasca piena d’acqua che riflette la luce in modo magico. Sempre gratuita, sconfinando nel Barrio del Carmen, è la salita sulle Torres de Serranos. Un’altra testimonianza antica (XIV sec) della città e un’occasione imperdibile di abbracciare la città dall’alto, dai tetti dei palazzi del centro, al lungo parco nato dove un giorno scorreva il fiume (ma questo ve lo racconto sotto).

Torres de Serranos
Ovviamente non potevano mancare tappe mangerecce, giusto per entrare nello spirito della tapa (motivo che da solo, per me, vale un viaggio in Spagna). Una sosta simpatica, per quanto non troppo economica, è stata quella da Casa Victoria, famosa per il vermouth. Un luogo decisamente vintage, minuscolo e frequentato da umarells locali. Due crostini (con pomodoro e acciuga e col formaggio, buonissimo) e due birre sono costati 12 euro. A Bologna ci prendevi solo la birra, dopo tutto. Pit stop successivo: Empanadas Caseras. Ampia scelta, ottimi prezzi e ricette originali: ha trionfato quella con formaggio di capra e zucca.
Abbiamo proseguito il giro fino all’adorabile piazzetta di Santa Catalina, fra negozietti e gente a spasso per il centro, per poi passare nella parte sud della Ciutat Vella. Lo spirito cambia parecchio, perché si lasciano i vicoli e piazzette per immergersi in un mondo modernista e liberty. Le strade si allargano, aumentano i negozi, ma anche splendidi edifici che all’improvviso proiettano in città come Parigi o certi angoli vicini a Central Park. Siamo nella zona della Plaza del Ayuntamiento, dove si trova il municipio, anche se la vera chicca della zona è la Estaciòn del Norte. Per gli appassionati di ferrovie è davvero un gioiello modernista, fra decorazioni sui toni del verde, vetrate colorate e interni in legno. Un vero salto agli inizi del Novecento.

Città vecchia
Secondo giorno: la città della scienza
Come dicevo, il cielo dall’inizio non è stato dei migliori. Ripartendo sempre dalla città vecchia, abbiamo subito rotto il ghiaccio nella storica Horchateria de Santa Catalina, fra ceramiche, tostada e churros appena fatti, prima di raggiungere la maestosa Lonja (dopo un passaggio per la curiosa plaza Redonda). E’ un edificio patrimonio Unesco, in stile gotico, dove si sente l’influenza araba. Era destinata agli scambi commerciali fra produttori di seta e altri mercanti ed è una vera meraviglia affacciata su un giardino pieno di aranci. Anche la La Lonja sarebbe gratuita di domenica, ma noi non eravamo arrivate in tempo (dannati orari invernali, la chiusura era anticipata alle 14) e così l’abbiamo tenuta per il giorno dop. Proprio davanti, è un incanto il Mercado Central, per un altro salto all’inizio del Novecento. Stupenda la cupola, così come la merce in vendita: noi alla cifra di ben 3.50 euro a testa abbiamo fatto scorta di panini, empanadas e frutta fresca (e anche un cono di chorizo da passeggio, confesso) da portarci direttamente alla Ciudad de las Artes y las Ciencias.

Il mercato centrale di Valencia

Valencia, la Città della scienza

Tre giorni a Valencia, la Città della scienza
Progettata dall’architetto Santiago Calatrava, siamo nella parte più avveniristica di Valencia e forse in quella che colpisce di più. Un po’ per la bella passeggiata nel parco sorto sul letto del fiume Turia, deviato nel secolo scorso visto che aveva periodicamente la pessima idea di inondare parte del centro storico. In questa striscia verde è bello girare in bicicletta mentre i valenciani corrono, si allenano o portano a spasso il cane (magari in altre città avessero trovato soluzioni urbanistiche così felici).
Dopo aver oltrepassato anche un enorme Gulliver sdraiato, suggestivo gioco per i bambini (ma non solo direi), si arriva al complesso di musei, un ritorno al futuro in mezzo alla città. Le linee bianche, curve, fra edifici che sembrano ora occhi socchiusi, ora navicelle spaziali, sono davvero un ricordo che resta a lungo. Si possono combinare i biglietti per vari musei: noi abbiamo scelto l’Oceanogràfic, l’acquario più grande d’Europa, e il Museo de la Ciencias Prìncipe Felipe (complessivamente 31 euro).
Il secondo, per quanto interessante, mi è parso un po’ dispersivo e forse più adatto alle scolaresche o comunque visite guidate, l’acquario invece merita ogni euro. Visitandolo un lunedì di novembre sicuramente siamo state graziate delle code (e resse), tranne qualche sportellata per vedere i beluga. E’ ovvio che stiamo sempre parlando di animali che non vivono in libertà, ma alcune sezioni sono davvero magiche. Come gli spazi delle meduse, delle foche curiose e degli enormi trichechi. Belli i tunnel, in cui quell’ombra che passa all’improvviso sulla testa è quella di uno squalo. Il tempo ci è davvero volato e siamo uscite dopo circa cinque ore! Aggiungo solo che l’area non è completamente finita ancora, per quanto i costi sostenuti dalla città siano già stati enormi (e in passato non sono mancate le polemiche).
Apro una parentesi serale. Anche per una questione di comodità, abbiamo esplorato a piedi il Barrio del Carmen, che unisce un’anima quasi parigina per il tipo di case e localini e una po’ più dark, fra murales e muri sventrati. Un bel mix, sottofondo di tapas e vino.
Terzo giorno: la città di mare
Come dicevo, per la terza mezza giornata ci siamo affidate all’improvvisazione. La giornata era di nuovo bella e, noleggiate le bici, ce ne siamo andate verso il mare, riattraversando il Turia e sfruttando le numerose piste ciclabili (anche perché dove non ci sono mi pare che guidino come dei matti, e insultano pure). Questa parte della città, un po’ decentrata, deve avere cambiato un po’ pelle dopo la America’s Cup del 2007 e anche in questo caso offre almeno due anime. Da un lato c’è El Cabanyal, il distretto con le abitazioni dei pescatori, più basse e colorate, affacciate su placide stradine.

El Cabanyal, Valencia
Dall’altro c’è il lungomare vero e proprio, fra palme e larghissime spiagge di sabbia. Ovviamente in novembre erano piuttosto deserte, ma l’atmosfera era da luogo di vacanza da pensionati e l’ho trovato molto rilassante (lo so, resto sempre umarells dentro). Da queste parti ovviamente si viene anche a mangiare la paella. Il riso del resto è una star locale, visto che si coltiva nella vicinissima e lagunare Albufera. Noi abbiamo scelto il ristorante super tradizionale e vintage La Pepica: piatti buonissimi, personale non troppo cordiale (38 euro in due, ma senza vino/birra).

Il Lungomare di Valencia

La spiaggia a novembre
Se il tempo non ci avesse graziate, invece, avremmo puntato sul Museo de Bellas Artes (a ingresso libero per giunta), che custodisce tesori di Sorolla, Goya, Velàzquez e altri maestri spagnoli.
Tre giorni a Valencia: informazioni pratiche
Un altro dei motivi che mi rendono Valencia così simpatica è la comodità dei mezzi. Dalla fermata Colòn, ad esempio, quindi proprio al limitare della Città Vecchia, si arriva all’aeroporto in circa mezzora di metro. Una soluzione anche economica, tra l’altro, visto che il biglietto costa fra i 4 e i 5 euro. Il noleggio della bicicletta, per mezza giornata, oscilla tra i 5 e gli 8 euro circa. Noi l’abbiamo presa direttamente all’ostello Buho House, su cui vorrei spendere due parole.
Ci siamo trovate davvero benissimo, per posizione (a pochi minuti a piedi dalla Cattedrale), stile delle stanze, tutte molto curate, e pulizia. La doppia, tutta in legno, con due letti e bagno privato, costava 44 euro a notte (abbiamo prenotato con Booking). Belli anche gli spazi in comune. Se poi potete spenderci anche dieci euro in più, carinissimo anche il B&b Ottoh Charm, proprio nell’edificio a fianco.
Piccola segnalazione per le tapas, che in generale, mi sono piaciute un po’ di meno (almeno come varietà) rispetto alle ‘sorelle’ andaluse. Però la Taberna El Olivo, in una piccola piazza del Barrio del Carmen mi è piaciuta (bottiglia di vino e quattro tipi di tapas al costo di 50 euro complessivi). Per la colazione, invece, ci siamo trovate bene nella catena Granier (buono il caffè, sofficiose le brioches).
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