“Non capisco come mai a nessuno sia venuto in mente di proclamare la ‘tapa’ l’espressione alimentare di uno stile di vita in cui si prova tutto, si conversa molto, si beve in modo intelligente e si arriva alla non facile conclusione che, a piccole dosi, il mondo è bello” (soffitto della Vineria San Telmo, Siviglia)
Una delle cose che mi convinceva meno della Spagna era sicuramente la cucina. Le due esperienze precedenti, del resto, erano stati la gita dell’ultimo anno del liceo a Barcellona, a suon di fritto in albergo (le famigerate mezze pensioni) e panini a pranzo, e una vacanza estiva a Formentera. Ma, anche per i prezzi non certo economici, già dieci anni fa, di quel viaggio ricordavo molte cene in casa (le famigerate case vacanze) e, va detto, meravigliosa sangria. E così, quando ho deciso di partire per l’Andalusia all’ultimo minuto è stato solo perché, a cavallo del ponte del 1° novembre, era la meta che costava meno. Mi sono dovuta ricredere. In una Siviglia e Granada insolitamente inzuppate d’acqua o ‘obbligata’ a tante piccole soste per sfuggire alla pioggia, la grande scoperta è stata di gran lunga quella delle tapas.
Un passo indietro. Non che l’Alcazar e il dedalo di stradine del barrio di Santa Cruz a Siviglia o l’Albaicin di Granada non mi abbiano affascinata. Così come ho già un po’ nostalgia del volto severo delle ballerine di Flamenco o del ritmo scatenato della Zambra nelle cuevas di Sacromonte. E pure mi ha tolto il fiato sporgermi dal ponte colossale che taglia il vuoto a Ronda, per non parlare dell’inquietudine provata davanti alle statue religiose, trasudanti lacrime e dolore, nelle innumerevoli chiese barocche. Ma, fra le mille facce del viaggio, un aspetto che mi ha sorpreso, divertito e che non avevo mai sperimentato prima è stato decisamente la filosofia del tapear, che pur contrasta così tanto con lo spirito della cena seduti – delle mangiate con gli amici o delle cenette a lume di candela -, che ci sono tanto care in Italia. Invece, il concetto di fare tanti piccoli assaggi in maniera itinerante e in piedi, a un passo dall’oste (che spesso è un personaggio che resta impresso), è davvero una piccola rivoluzione. Come la soddisfazione di poter ordinare anche quattro/cinque volte e sentirsi sazi con pochi euro. Ma non di solo cibo parliamo, visto che non sarebbe un tapear che si rispetti senza una copa de blanco o di tinto (calice di vino bianco o rosso) o di cañas, piccole birre chiare alla spina leggere, straordinariamente dissetanti.
Piccolo vademecum, o apologia, della tapa
Che cos’è. Sulla guida Routard ho trovato due versioni della storia. La prima deriva dall’abitudine di coprire con un piattino i bicchieri, perché non vi entrassero le mosche. E a quel punto hanno deciso di non lasciarlo vuoto. La seconda, invece, si rifà al più vecchio espediente per limitare gli effetti dell’alcol: fare fondo. In altri termini accompagnare le bevande con il cibo. E così è tuttora.
L’effetto sorpresa. E’ utile munirsi di un dizionario per non ritrovarsi sul piatto un involtino di budella di capra non richiesto. Al banco di Hijos de Moraes ho ordinato in maniera spericolata sangre encebollada, ma ero consapevole di cosa fosse (andatelo vedere su google). Però bisogna anche improvvisare leggendo le lavagne fitte di nomi che potrebbero significare qualsiasi cosa. Se è pesce o carne, o entrambi, spesso lo si scopre solo assaggiando. Un posto imperdibile per rompere il ghiaccio è la Bodega Santa Cruz, a Siviglia. A pranzo è preso d’assalto da una ressa eterogenea urlante, tanto dai turisti, quanto dalla gente del posto. Gridate quello che vedete alla lavagna e i prezzi vi saranno segnati col gesso sul bancone. Almeno sui costi, nessun salto nel buio.
La varietà. C’è tapa e tapa. Da quelle ‘basiche’, piccole porzioni di paella, tortilla di patate o baccalà (anche nella versione bocadillo, dentro a un piccolo panino) alle elaborazioni sul tema (il prezzo lievita un po’, ma di circa un paio di euro al dunque). Nella versione più semplice, in cima alla lista dei piatti da provare c’è sicuramente il jamon. Un buon criterio per scegliere un locale è la fila di prosciutti che vedrete appesi sulle vostre teste. Il più interessante è quello di bellota, cioè di un maiale ingrassato esclusivamente a ghiande. Se vi trovate a Granada, un buon posto per provarlo è La Mancha. Da provare anche il lomo (lombo, o lonza). Ottima (non regalata) è quella di Las Teresas, storico locale a un passo dalla Cattedrale di Siviglia.
Altra bella sorpresa, gli spagnoli non si risparmiano nel proporre il foie gras. L’abbinamento preferito, quello con le acciughe, l’ho assaggiato a Granada nella bodega Casa de todos. Un vero must è il salmorejo, parente andaluso del gazpacho, a base di pomodoro, pane raffermo, uovo e aglio. Lo si trova un po’ dappertutto, anche se una versione ‘superior’ si può trovare a La Cava De Europa, a Siviglia. Questo è il posto ideale per provare la variante più evoluta della tapa, che qui è (come si vede in vetrina) super premiata. Un altro locale di livello simile è la Vineria San Telmo, sempre a Siviglia. Va detto, fra i clienti ci sono molti italiani, tanto che anche i camerieri lo parlano piuttosto bene, ma forse anche per questo i piatti sposano il gusto a cui siamo abituati. Segnalerei la carta dei vini, una delle migliori che ho trovato. Cambiando genere, so che molti inorridiscono all’idea, ma straordinariamente saporita è anche la morcilla, una specie salame o salsiccia a base di sangue di maiale (in pratica, sanguinaccio). Una versione molto originale la si può provare a Ronda alla bodega El Socorro, arrotolata in bastoncini (cigarillos).
Sacro e profano. Se a fianco di prosciutti e teste di toro vedete una sequenza di immagini sacre e Madonne in lacrime, non avete bevuto troppo. E’ proprio così. Gli spagnoli non hanno paura di accostare statue di Cristo con la corona di spine alle specialità locali. Il posto più eccessivo l’ho trovato a Siviglia: si chiama La Fresquita ed è legato a una delle confraternite cittadine. Lo capite subito entrando nella bodega: alle pareti non c’è un centimetro che non sia riempito di immagini della famosa processione che si tiene per la Semana Santa. Che, per rafforzare il concetto, va in onda a ciclo continuo anche su di un televisore. Fra le altre cornici, c’è anche un’intervista al gestore, che spiega come i clienti siano soprattutto membri della confraternita. Ma, se entrano con rispetto, anche i turisti sono ben accetti. Bene approfittarne, e gustare gli espinacas, una delle specialità sivigliane.
Danno dipendenza. Si è colti da un certo delirio di onnipotenza nel lanciarsi negli assaggi che, per gli stomaci più delicati, a volte presentano il conto verso sera. Piccole porzioni possono rivelarsi delle piccole bombe. Anche perché gli spagnoli non ci vanno piano con l’aglio. Ma comunque ne sarà valsa la pena.