Quest’anno, fino adesso, è stato scandito da viaggi di ritorno. Sono tornata in Giappone, in Giordania e in Grecia (tutti paesi con la lettera G, ora che vedo) e ancora una volta ho avuto la dimostrazione di come sia stimolante rivedere un luogo e sentirsi a casa in una parte del mondo diversa. Ritrovare piccole abitudini e aspetti familiari. Gli ultimi dieci giorni me lo hanno insegnato ancora di più. Nel mio sesto viaggio in Grecia, il quinto assieme a Patrick, abbiamo deciso di esplorare una parte nuova: il Peloponneso, in particolare le due ‘dita’ da Sparta in giù.
Abbiamo quindi visitato parte della Messenia e la Laconia, che a chi ha studiato greco a scuola evocheranno ben più di un compito in classe. La destinazione era un po’ una mia fissa da due anni, da quando intervistai dei ragazzi che per primi mi parlarono del Mani, una zona fuori dall’ideale classico della Grecia fatta di casine bianche e tetti azzurri che rendono così adorabili le Cicladi. Pianificai un primo viaggio nel settembre 2016, ma per un problema fisico saltò tutto all’ultimo. Mi ero messa in testa di riprovarci e così quest’anno sono riuscita a prendermi la mia rivincita. L’altro motivo, meno romantico, è che avendo ferie ad agosto ed essendoci mossi tardino, i prezzi delle isole erano lievitati. E così, trovato un volo accettabile per Atene, ci siamo andati a prendere un altro pezzetto di uno dei nostri Paesi del cuore.
Il cuore del viaggio è stato il Mani, la penisola centrale del Peloponneso, che si protende, sempre più stretta e tortuosa, nel Mediterraneo. Il monte Taigeto, quello su cui gli spartani abbandonavano i bambini con difetti fisici, e che quindi non sarebbero stati abili guerrieri (lo avete letto Lo Scudo di Talos?), è come se si allungasse, con le sue cime sempre più basse, fino al mare, fra Ionio ed Egeo. E’ un angolo ellenico diverso da tutti gli altri, cristianizzato molto secoli dopo il resto del Paese e che ha sempre mantenuto una certa autonomia dalla dominazione turca. E’ un popolo che si ritiene discendente direttamente dagli spartani, non proprio caratterizzato dal carattere accomodante, visto che fino all’Ottocento nei villaggi c’era un bel far west: le famiglie erano in lotta fra di loro e si barricavano in case torri, che ancora oggi scandiscono il paesaggio, sempre più brullo e aspro man mano che ci si avvicina al Capo Tenaro, il punto più a sud della Grecia continentale.
In questo post parto dall’itinerario, sia mai che qualche vacanziero indeciso ancora possa trovare qualche idea per l’estate.
1) Atene
A volte ritornano. Anche Atene. Dopo la prima visita del 2012, mi era capitato di ripassare per la capitale, infilandomi però subito sull’autobus che porta al Pireo per imbarcarmi su qualche traghetto. Questa volta, arrivando di pomeriggio, abbiamo deciso di trascorrere qui la prima sera e di andare a fare un salutino all’Acropoli. Basta gironzolare per la Plaka per sentirsi sempre osservati dall’alto dal Partenone, con la sua luce e i suoi ponteggi, e dalla collina del Licabetto. Doveva essere una normale prima sera in cui brindare alle ferie finalmente iniziate e invece è andato in scena lo psicodramma della mia perdita del passaporto. Come ho risolto? Perché cavolo non avevo con me (anche) la carta d’identità? Lo racconterò per bene in un altro post sul tema. Allo scoccare della mezzanotte, però, ci siamo consolati con una moussaka della mitica taverna To Paradosiako (Evgenia). Sei anni dopo un grande revival.
2) Da Atene al Mani
La mattinata è scivolata via fra giri all’ambasciata e alla stazione di polizia, condita da un nuovo psicodramma: persi in queste incombenze, l’agenzia in cui dovevamo ritirare l’auto a noleggio (in questa sede ateniese non abbiamo avuto un’esperienza positiva, altri clienti erano iviperiti per la sporcizia della macchina) ha pensato bene di cancellare la nostra prenotazione visto che ci siamo presentati due ore in ritardo. E’ alta stagione, sapete. E’ scritto nelle condizioni. Mentre prendevamo in causa tutti gli dei dell’Olimpo, in realtà non è andata poi così male: nella zona c’erano altre compagnie e abbiamo recuperato un’ottima Golf da Axon Lease all’incirca allo stesso prezzo (480 euro per 9 giorni). E così, carichi di bile e di caldo, ce ne siamo andati nel Mani.
Da Atene a Sparta si impiegano circa due ore e mezza in autostrada, poi, lasciata quella che oggi è una moderna città, la strada inizia a serpeggiare fra distese e distese di ulivi. Non ne ho mai visti tanti e in effetti l’olio assaggiato qui è davvero speciale. Nell’arco di un’altra ora siamo arrivati a Pirgos Dirou, il villaggio in cui si trovava la nostra casa-torre. Nel Mani ce ne sono a centinaia e, se molte versano in stato di abbandono, per fortuna altre sono diventate alberghi, a volte davvero belli. Noi abbiamo scelto lo Sventoura Hotel, che, a discapito del nome, è una vera benedizione per godersi la vista del mare blu, in fondo agli ulivi, vivere ogni sera il rito del tramonto e ascoltare la lunga preghiera che arriva dalla chiesa del paese. Un posto magico. Per il resto a Pirgos si trovano tre locande, un supermercato di frontiera, una farmacia, un fornaio, una pasticceria e ceramiche in vendita. Finito. Ma molti vengono per le grotte che però noi al dunque non abbiamo visitat0 (abbiamo sentito pareri discordanti e l’ingresso costa 12 euro!).
3) Mani: la costa occidentale
Il terzo giorno abbiamo esplorato questo lato della costa, sul golfo di Messenia. E’ la parte davvero imperdibile, per cogliere, a ogni curva e su ogni altura, torri e villaggi. Sembra che tante piccole San Gimignano siano state catapultate su questo tratto di costa, fra pietre e ulivi. Il villaggio più suggestivo è quello di Vathia, in gran parte abbandonato, in posizione scenografica col mare sullo sfondo. In questa zona il punto più bello per tuffarsi in quell’immensità azzurra è Marmari, dove si può scegliere fra una bella spiaggia attrezzata (7 euro due lettini con ombrellone) e una più piccola, ma praticamente deserta.
Imperdibile, su questo lato, una tappa ad Areopoli, con un delizioso centro storico restaurato. La consiglio soprattutto la sera, quando strade e piazze si riempono di tavolini in cui cenare o bere un cocktail. Lo stesso vale per i due minuscoli villaggi sul mare Gerolimenas e Limeni: il primo è perfetto per un aperitivo o un gelato, con la sua placida atmosfera da rifugio di pescatori; il secondo è l’ideale per una cena di pesce, in cui sembra di mangiare direttamente sull’acqua.
4) Mani: da Areopoli e Kardamyli
Giorno quattro. Di nuovo in auto, questa volta verso nord, verso Kardamyli. Secondo la nostra datata ma fedele Routard, questo tratto di strada è imperdibile e sono piuttosto d’accordo. Gli scorci sul mare sono bellissimi, mentre la vegetazione diventa sempre più verde. Lungo il tragitto, di oltre un’ora, si attraversano paesini dall’atmosfera sospesa e le tegole di chiesette bizantine punteggiano la campagna.
A Kardamyli volevamo visitare la casa di Patrick Leigh Fermor, autore di quel libro, Mani. Viaggi nel Peloponneso (Adelphi), che abbiamo letto ad alta voce tutti i giorni: da queste parti vale più di mille guide. La casa sulla baia purtroppo era ancora in restauro (ospiterà una residenza per scrittori e artisti) e così siamo saliti sul fianco della montagna per arrivare a Exochori, dove riposano i resti di Bruce Chatwin. Proprio lui, il grande scrittore-viaggiatore, amico di Leigh Fermor, che riposa ai piedi di una chiesetta sperduta fra gli ulivi. Né una lapide né un cartello indicano il luogo, ma ci si arriva da una strada nel bosco che parte dal cimitero. Una bella spiaggia di sassi bianchi (non è attrezzata, ma c’è un bar) è quella di Foneas, qualche chilometro prima di Kardamyli.
5) Mani: la costa orientale
Nella quinta giornata abbiamo esplorato la costa orientale, già Laconia. Siamo partiti dal capo Tenaro, dove la strada finisce in una spiaggetta incantevole, dalle acque cristalline (il mio tuffo preferito ammetto). E’ un punto ideale per immergersi dopo avere camminato fino al faro che si trova proprio sulla punta; il sentiero che vi arriva è suggestivo, ma esposto al sole, quindi meglio muoversi presto e con scorte d’acqua (non è lunghissimo, servono 45 minuti ad andare, più quelli per tornare). Il paesaggio qui diventa sempre più essenziale, con pennellate di blu e del rosso del terreno.
Da qui si può sostare a pranzo nella vicina e tranquilla Porto Kagio, per mangiare con i piedi nell’acqua, per poi risalire e incontrare nuovi villaggi. Il più suggestivo è Lagia, con la sua bella piazza, ma si difende anche Flomochori, con le torri più alte della zona. E’ un viaggio nel tempo da fare con lentezza, piccole soste, e un tuffo nella spiaggetta di Alipa (con taverna).
6) Dal Mani a Monemvasia
A malincuore abbiamo lasciato il Mani per arrivare in Laconia, ma non prima di passare qualche ora domenicale sulla bella e grande spiaggia di Skoutari, con la sua acqua cristallina e calda. Il luogo giusto per trovarsi fra famiglie greche, mentre le ore scorrono fra bagni, la taverna, un caffè frappè e una siesta sotto le tamerici. Da qui si arriva a Ghytio e alla spiaggia di Valtaki con un relitto che per un attimo mi ha fatto pensare alla Skeleton Coast della Namibia: si tratta di una nave enorme, incagliatasi su questa spiaggia nel 1981, e che non è più stata rimossa.
Ancora un’ora di auto, fra olivi e aranceti, ed ecco comparire lo strano sperone di roccia che custodisce la cittadina bizantina di Monemvasia. E’ un luogo pazzesco (pieno di turisti eh, rassegnamoci tutti, mi ha ricordato una Dubrovnik in miniatura), con chiese e vicoli nascosti dalla roccia e visibili sono dal mare. L’ideale è arrivare verso sera, godersi il tramonto e cenare nel centro storico (c’è anche una parte della città moderna: costa meno, ma è indubbiamente meno suggestiva). La mattina presto, invece, è il momento ideale per scoprire il dedalo dei vicoli e arrivare fino alla chiesa in cima al monte: dopo la solita salita spezza-gambe dei paesini greci, si è ripagati da una vista splendida, immensa.
7) Elafonisos
Intorno alle 11 di mattina abbiamo lasciato Monemvasia, per raggiungere la minuscola isola di Elafonisos. In auto si impiega circa un’ora e mezza per arrivare al punto in cui si prende il traghetto: la traversata dura solo dieci minuti, ma la coda per imbarcarsi può richiedere ore, quindi cercate di spostarvi in orari un po’ tattici. A noi, arrivati un po’ prima delle 13, sono serviti circa 45 minuti per portare l’auto di là (13 euro per due persone e un’auto a tratta). Elafonisos è un’isola estesa su 19 chilometri; è piccolissima, la meta ideale per i patiti del mare. Negli ultimi anni la spiaggia di Simos (anzi, le spiagge) è stata più volte considerata la più bella del Mediterraneo per la sua acqua chiarissima, quasi tropicale in effetti, e la particolare forma, come di due semilune divise da una striscia di sabbia. La spiaggia è suggestiva, attrezzata in tre punti, ma per i miei gusti comunque troppo grande e affollata. Una curiosità: è praticamente l’unico posto in cui abbiamo trovato connazionali.
L’unico paese si distende sul porto e la sera si anima come non mai: non si contano i ristorantini sul mare e la gente è così tanta (almeno in agosto eh) che per la prima volta in via mia in Grecia ho dovuto prenotare per mangiare! Il pesce comunque è ottimo e il posto migliore per assaggiarlo, così come la specialità locale tsaiti (una croccante sfoglia ripiena di formaggio e menta), è la taverna Aronis (e che prezzi super). Non dovete farvi l’idea che il posto mi abbia deluso, tutt’altro. Mi sono goduta l’atmosfera rilassata, la colazione sull’acqua nella nostra pensioncina, il clima un po’ da Riviera, di passeggiatina serale, e, soprattutto, la sensazione di essere sempre avvolti dall’azzurro tenue del mare e del cielo. Poi, certo, se non siete troppo marittimi due giorni bastano e avanzano.
8) Elafonisos e città sommerse
Anche l’ottavo giorno lo abbiamo trascorso a Elafonisos. E’ così che ho scoperto la seconda spiaggia dell’isola, Panaghia, che francamente mi è piaciuta molto di più. A parte la trovata di prendere due puff al posto del lettino, l’acqua mi è sembrata, se possibile, ancora più bella e calda e un po’ più profonda come piace a me. E poi, oltre il fatto che ci sono molto meno persone, è davvero bella la strada, se pur breve, che si fa per arrivare.
Nel pomeriggio ci siamo lanciati in quelle esperienze sempre borderline fra la fregatura e la bazza che è il giro in barca organizzato. Anche questo caso ha confermato la statistica, ma almeno costava 10 euro, tutto sommato meritati. L’idea era riuscire a fare snorkeling sopra la città sommersa di Pavlopetri, che si trova fra l’isola e la spiaggia di Pounta sulla terraferma. La storia è davvero affascinante: si tratta di una grande città sommersa, abitata circa 5mila anni fa e pure in epoca micenea. A pochissimi metri sotto la superficie di questa acqua cristallina si possono vedere i resti delle abitazioni e speravo davvero di nuotare in zona. Giustamente le barche non possono arrivare troppo vicine e anche le immersioni sub sono vietate: noi, però, siamo stati lasciati davvero troppo distanti dal punto esatto e dopo avere nuotato a lungo in mare aperto abbiamo dovuto rinunciare per non lasciarci le penne. Vabbè, chi ci riesce mi dica com’è.
9) Mistras
Lasciata Elafonisos il mattino, ci siamo rimessi in auto per tornare da dove eravamo partiti: Sparta. In due ore e mezza si arriva in quella che oggi è una città moderna, universitaria, vivace. Le tracce del passato sono davvero poche, ma il piccolo museo archeologico merita una visita prima di cercare una taverna per il pranzo. Il nostro vero obiettivo, però, era proseguire altri cinque chilometri per salire verso Mistras, un sito archeologico davvero imponente. Mistras è stata una città bizantina importante, due volte veneziana e ottomana, e oggi è soprattutto una città fantasma. Sul dorso del monte, sovrastato da un castello franco, spuntano chiese affascinanti, ma anche molti ruderi. Un monastero, in realtà, è ancora abitato da monache: è davvero un luogo di pace, fra affreschi incredibili, gatti e fiori colorati. Si vede che c’è il tocco femminile. Noi siamo entrati dalle 17 alle 20, l’orario secondo me migliore per il caldo e per la luce che incendia la pietra. Si esce giusto in tempo per tornare in taverna nel minuscolo centro abitato e guardare gli umarells locali che conversano nella leggera brezza serale.
(Ps. se alloggiate all’Hotel Byzanthion, è bello passare le ore più calde del pomeriggio nella piscina fra gli ulivi).
10) Ritorno ad Atene
Siamo partiti alle 7 di mattina per arrivare entro le 10 all’areoporto di Atene, dove dovevo recuperare il mio passaporto ritrovato. Risolto questo nodo cruciale per il rientro in aereo, un po’ ci dispiaceva di tornare nella capitale: sembrava di sprecare un po’ l’ultimo giorno di viaggio. E invece, l’imprevisto si è trasformato in opportunità. Per prima cosa abbiamo fatto il colpo di testa di girare la macchina e puntare verso Capo Suonion, uno dei nostri luoghi preferiti di quella visita di sei anni fa. Il tempio di Poseidone era ancora lì, nel suo candore battuto dal vento, in cima al promontorio su un mare blu denso, quasi violaceo. Irresistibile l’ultimo tuffo, tirando fuori ancora una volta i costumi dalla valigia. E’ stato un momento stupendo, come solo i ritorni nei luoghi amati può regalare. Lo stesso vale per la taverna sulla spiaggia, che è stato bello ritrovare, con l’aria stanca dei camerieri, la retsina e l’insalata greca.
Siamo così ritornati in fretta e furia ad Atene, per riportare l’auto in tempo. E il meglio doveva ancora venire perché, esauriti l’altra volta gli imperdibili del viaggio, abbiamo visitato l’incantevole museo Benaki (quel giorno pure gratuito), in cui si ripercorre tutta la storia greca dalle figurine cicladiche, ai vasi con le figure prime nere e poi rosse, fino all’Indipendenza. Noi puntavamo soprattutto, però, alla mostra fotografica di… Joan Leigh Fermor. Ci siamo rituffati, questa volta attraverso le immagini in bianco e nero, nella Grecia degli anni Cinquanta che Paddy Leigh Fermor ci aveva raccontato in Mani. E’ stato come ritrovare vecchi amici, stessi occhi e parole. Non credo siano solo coincidenze.
Col cuore già sazio ci siamo rilanciati un’ultima volta nella Plaka, in un’Atene calda e pulsante di vita. Turisti, giovani, manifestanti, famiglie. C’era un’umanità rumorosa e vivace fra l’Acropoli e la collina di Filopappo, da cui si gode, io credo, la vista più bella della città: dal Licabetto al Pireo. Al di sotto c’è l’Atene di oggi, con le sue rovine che non invecchiano davvero mai, con la sua storia che si sovrascrive incessantemente su colonne e chiese, con i suoi tavoli sempre pieni di persone che mangiano, bevono, ridono. Questa città sembra attraversata da un flusso del tempo che scorre nelle vene, sotto terra, sotto i marciapiedi, dietro i murales. E’ una città viva e io la adoro.