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Il mio viaggio in Italia verso la Calabria

Riprendiamoci le nostre piccole patrie — quelle che abbiamo trascurato in nome
dei voli low cost — sapendo che errare, nel clima avvelenato che ci circonda,
non è più evasione, ma il suo contrario. Non fuga dal mondo, ma un modo per aggrapparsi
ad esso e riattivare il contatto fra uomini. 

Paolo Rumiz

Di viaggi in viaggio

E’ da un po’ che mi interrogo sui motivi che mi spingono a viaggiare e su come sia cambiato velocemente, negli ultimi anni, il modo in cui viaggiamo io e la gente che mi circonda. Provengo da una famiglia in cui esistevano solo le vacanze estive, declinate in forma di villeggiatura: due settimane al mare in Riviera e un paio di mesi sull’Appennino, nei luoghi in cui erano nati i nonni, in case con mobili di seconda mano. La tipica estate bolognese, insomma – almeno se non eri uno che aveva la villa sui colli o venivi dal cemento del Pilastro-, intervallata, solo per alcuni anni al liceo, da brevi giri in famiglia fra sud Italia e Francia. Al massimo Austria.

Il mio primo aereo l’ho preso a 17 anni, per Dublino, poi ho esplorato solo il Mediterraneo vicino, fra Sardegna, Grecia e Baleari. Non sembrava possibile immaginare una vacanza senza mare. A 25 anni ho messo il naso fuori dall’Europa, con un viaggio in Marocco che in casa è stato accolto come l’annuncio di un militare che parte per l’Iraq. E così, nella valle del Dadès, è iniziata la grande passione per esplorare questo mondo in cui viviamo; solo questo, immagino, visto che già ho paura dell’aereo e non credo che metterò mai piede su un’astronave. Questa passione non si è più spenta, anzi è stata alimentata da ogni puntino sulla mappa in cui sono arrivata a bordo di un mezzo improbabile, da ogni città visitata, che fosse una metropoli o un villaggio tribale. Ho avuto la fortuna di viaggiare – cosa che mi ricordano del resto ogni due per tre, soprattutto quelle persone che non credo che poi rinuncerebbero, legittimamente, al relax di un lettino in spiaggia a un’ora da casa (l’ho detto, poi tacerò per sempre) – in Asia, India, Africa, Stati Uniti e pure di arrivare fino in Nuova Zelanda. Più lontano di così era difficile. Sono stata quattro volte in Giappone e ne ho scritto una guida. Ho aperto un blog, per lasciar correre i pensieri, per non dimenticarmi facce e sensazioni. Perché mi diverto un sacco quando qualcuno mi chiede un consiglio su una destinazione, che sia un ristorante bolognese o un’isola greca.

Ma in verità, oltre me, il mondo viaggia. Me ne rendo conto nei Paesi che visito, dove comitive di certe nazionalità fino a qualche anno fa non si vedevano neanche all’orizzonte. E’ più facile prenotare un aereo di un bus, costa meno di una notte di un albergo in qualsiasi zona turistica d’Italia. Di viaggi sono pieni i social – ci provo pure io anche se sono una nemica del seo, mi vergogno a risentire la mia voce nelle storie su Instagram e dico bacheca al posto di timeline – così come fioccano mappe da grattare da attaccare da qualche parte, sulla parete. E’ bellissimo, ma il mondo si è come rimpicciolito.

Viaggio in auto verso sud

Dove sto andando a parare, in un post che vuole parlare dell’Italia? Al fatto che andare in luoghi con odori e sapori diversi dal mio è un tipo di sete che non credo si spegnerà mai, perché è una cosa che ho come sposato nella mia vita (quando non sono al verde). Ma viaggiare solo all’estero è viaggiare a metà. E viceversa. Nell’ultimo anno la sete di Paesi sempre nuovi si accompagna a una nuova esigenza, quella di tornare all’incredibilmente vicino. Al piccolo e piccolissimo, a quei boschi sull’Appennino così famigliari quando ero bambina (sto invecchiando, è un chiaro segno), perché case di pietra, tradizioni e storie delle nostre terre stanno scivolando via sotto il nostro naso, fuori dai motori di ricerca e da Wikipedia. Vale per tutto il mondo, immagino, ma sento il bisogno di ripartire dai luoghi che abbiamo più a portata, dove probabilmente non arriverà mai alcun influencer, ma che forse sono davvero il futuro. O meglio, se ci perdiamo quel passato, se ci perdiamo una ricetta, un vitigno autoctono, una casa che abbia la forma di casa, una mozzarella che sappia di mozzarella (che poi ci tocca andarla a recuperare in un mercatino a chilometro zero, dove costa come diamanti, in macchina, ma almeno ci sentiamo sostenibili) secondo me ci perdiamo un pezzo di futuro.

Stilo

Tutti questi pensieri si sono sedimentati nella mia testa soprattutto nell’ultima settimana che ho trascorso nel centro e sud d’Italia. In realtà poi erano iniziati un anno fa, quando abbiamo scelto di comprare casa fuori da Bologna, che già di per sé è una pazzia comprare casa, figuriamoci in mezzo ai calanchi, in un parco, dove internet fa le acrobazie e un temporale mi fa saltare Sky come un birillo. Non saranno i colli bolognesi, però mi sveglio con gli alberi davanti agli occhi.

Ma continuo a divagare.

Dunque eravamo diretti in Calabria, a Soverato, per alcuni giorni in famiglia, e io e Patrick abbiamo deciso di andare in auto, prendendola alla larga. Pensavo di fare tappe vicino alla costiera amalfitana, e invece, complici due amici che hanno scelto di andare a vivere in un borgo del Frusinate, siamo penetrati in un’Italia centrale a me sconosciuta. Un Lazio che non è Roma, che non è Fiumicino, che avevo solo sfiorato a Fiuggi, quando andai a preparare l’esame di stato da giornalista. Poi più. Ho ritrovato un Paese di piccoli borghi, di case di pietra, feste di paese, di cibi semplici ma buonissimi, di vitigni mai sentiti e su cui scommettono produttori giovani. Non importa che a me il vino biodinamico poi piaccia il giusto: loro si prendono a briga di rischiare. E’ un Paese che vive ai lati dell’autostrada, in mezzo al verde: c’è molta più natura di quanto pensassi in Italia, passando fra il Pollino, le Murge e la valle di Comino. Ho deciso che è un tipo di Paese che voglio raccontare, che non è perfetto, con le buche nelle strade e scheletri di case non finite, ma che per certi tratti è così indietro nel tempo da sembrarmi avanti.

Ecco il nostro giro, fra tesori nascosti e altri decisamente conosciuti.

Lazio

Partendo molto presto siamo riusciti fare un passaggio a Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, ma a un passo dall’Umbria. E’ un luogo in realtà ormai piuttosto famoso, tanto che siamo scampati per un soffio ai pullman di turisti, soprattutto cinesi. Ma questo minuscolo centro storico aggrappato al tufo, in mezzo a voragini della terra, è davvero suggestivo, soprattutto quando avvistato da lontano. Ve lo ricordate quel pezzetto di Fantàsia che rimane nella Storia Infinita? Mi ha fatto pensare a quello. La chiamano ‘la città che muore’ proprio per questo, per le frane, i terremoti del passato, l’abbandono progressivo degli abitanti. Eppure la vecchia civita se ne sta sempre lì, appollaiata fra i calanchi, e oggi è un piccolo museo a cielo aperto fatto di ristorantini, enoteche e B&b. Fiori ai balconi, vicoletti in pietra, gatti: è il piccolo paradiso del turista, ma dal fascino intatto.
Per accedere al ripido ponte pedonale che porta al borgo si paga un biglietto d’ingresso di 3 euro.

Civita di Bagnoregio

La tappa successiva è stata Ceprano, cittadina che ha pagato i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, ma comoda per incontrare gli amici. Un pranzo in piazza fra un calice di Chardonnay bello freddo e un cacio e pepe è stata una piccola iniziazione a questa campagna laziale. Da qui si raggiungono borghi come Rocca d’Arce, con la sua toponomastica precedente l’Unità d’Italia. O posti come Isola del Liri, dal nome del fiume che si butta nel centro storico con una spettacolare cascata. E’ l’unico esempio in Europa e, prenotando prima la visita, si può quasi quasi toccare l’acqua in salto da un castello privato.

Isola del Liri

Isola del Liri

Sempre nel giro di una mezzora in auto, si arriva, spostandosi verso l’Abruzzo, nella valle di Comino, un luogo verde e fiabesco. Fra i tanti borghi, abbiamo scelto San Donato, aggrappato alla montagna. E’ un luogo che ho amato molto e dove abbiamo trovato una festa di primavera con street food e musica: fra i piatti locali deliziosi ho scoperto vitigni autoctoni, mentre l’arrosticino d’agnello ha già varcato i confini regionali. Sempre nei paraggi c’è la storica abbazia di Montecassino, che abbiamo visto svettare da lontano, mentre riprendevamo l’autostrada per scendere nel Beneventano.
Info: se pernottate in zona vi consiglio il B&b il Bruco, immerso nel verde (e che piscina).

Campania

Volevamo berci un calice di Falanghina, ma è stato più difficile del previsto: di domenica gli agriturismi, in questo periodo dell’anno, nel Sannio sembrano tutti fagocitati da feste di famiglia con partecipanti in grande spolvero. La missione pranzo è stata un po’ fallimentare- e alla fine siamo rimasti incastrati nel menù fisso di un battesimo – ma la tappa a Sant’Agata dei Goti una vera scoperta. Il centro storico di questa cittadina ai piedi del monte Taburno (quello dell’Aglianico) sembra uscito da una serie fantasy, con le cupole colorate delle chiese e la voragine che si apre da un lato (in effetti è stato set di diversi film). Una volta oltrepassato il ponte vertiginoso sul fiume, è tutto un susseguirsi di chiese, alcune di epoca longobarda, e di piazzette. Siamo capitati il 3 giugno, trovando casualmente la celebre infiorata del Corpus Domini, con la sua esplosione di colori.

Sant'Agata de' Goti

Calabria

Ed eccoci di nuovo in auto, per quattro ore, direzione costa ionica. Lungo lo strada ci siamo fermati al bellissimo castello svevo che veglia su Cosenza, fra fichi d’india e rondini. Purtroppo, almeno di domenica, chiudeva alle 18 e siamo rimasti fuori: non capisco una chiusura così presto d’estate, ma così è la Calabria. Siamo giunti alla fine a Soverato, città turistica, che mi resterà per sempre negli occhi per il mare azzurro e trasparente e gli alberi di oleandri fino in spiaggia. Una meraviglia. In realtà il turismo sembra essere soprattutto quello della gente che torna fra luglio e agosto, perché a inizio giugno, nonostante il caldo già estivo, molti bagni erano ancora chiusi. E’ una cosa che colpisce chi viene dalla Romagna dove tutti già sono in spiaggia per la pausa pranzo almeno dal primo maggio. Sembra che l’apertura ai visitatori nuovi sia un capitolo molto recente della storia di questi posti.

La spiaggia di Soverato

Da qui abbiamo esplorato soprattutto la provincia di Cosenza, ma non solo. Ci siamo spinti più a sud nel suggestivo borgo di Badolato, un altro paese quasi ucciso dall’abbandono dei cittadini dopo una drammatica alluvione negli anni Sessanta. Oggi si cammina ancora fra vicoli deserti e chiese chiuse (come la stupenda Chiesa dell’Immacolata), ma gli stranieri hanno cominciato a comprare case e un po’ di vita è tornata fra catoi e muri scrostati. E’ un posto che meriterebbe di più.

Badolato

Poco distante c’è Stilo, altro paese placido, dove è bello gustarsi una granita in piazza con gli anziani che giocano a carte, dopo avere visitato la Cattolica. E’ una chiesa bizantina splendida, un vero angolo di Grecia giunto fin qui, fra fichi d’india, ulivi e macchia mediterranea. L’interno è anche meglio, quando ci si sente osservati da austeri occhi di santi che affiorano dagli affreschi ben restaurati. Tornando più verso Soverato, merita una sosta anche la tranquilla Stalettì, sempre in posizione sopraelevata rispetto al mare, da cui godersi la quotidianità della gente del posto, facendo indigestione di cremolata al bar Jolly (una bontà illegale).

La Cattolica

La piazza di Stilo

La piazza di Stilo

Sulla costa tirrenica, invece, sembra di fare un tuffo nel Regno di Napoli camminando fra i vicoli di Tropea e Pizzo, con i loro scorci mozzafiato sul mare. Ma bisogna uscire dalle strade principali e perdersi nei vicoli dietro. Piccolo aneddoto: a Pizzo, mentre cercavamo la piazza principale una signora ci ha indicato la via dove trovare pescheria e macelleria. Eravamo chiaramente turisti, ma lei non ci ha suggerito chiese o bar, ma una macelleria. Rende proprio l’idea. Se venite fin qui, però, non perdetevi il tartufo di Pizzo, una piccola bomba calorica, ma commovente (noi abbiamo provati quelli artigianali di Domenico Penna). Della cipolla di Tropea sono sicura invece che sapete già tutto, ma non perdetevi la spiaggia, in posizione suggestiva, proprio sotto il paese (la mia preferita, però, è Caminia).

Pizzo

Un altro aspetto affascinante della Calabria, è la presenza di siti e ricchezze archeologiche. Poco distante da Caminia, si varca la soglia di un mondo antico e perduto nel Parco archeologico di Scolacium: un sito meraviglioso e si viaggia fra secoli di storia, dai greci ai bizantini, camminando fra centinaia di ulivi: è un posto magico, soprattutto nella luce del tramonto (chiude alle 19).

Il consiglio: una cena nel cortile dello Spuntino Campagnolo, a Soverato. E’ un vero assaggio di tutti i piatti di questa terra, illustrati dal titolare, allergico ai Trip e trap (che sarebbe poi Trip Advisor). Abbiamo trascorso una serata meravigliosa (è chiuso di mercoledì).

Basilicata

Lungo la via del ritorno la tentazione si chiamava Matera. Una città che volevo vedere da troppo tempo, proprio come la Basilicata, una regione sempre poco conosciuta, un po’ ai margini. E così abbiamo diretto l’auto a nord, lasciando il mare per una campagna rigogliosa, mentre le case si diradavano. L’ingresso è stato memorabile: visto che una strada era chiusa, la Municipale ci ha fatto strada in auto fino al B&b! Abbiamo così iniziato a esplorare la zona del sasso Barisano, fino al Duomo, verso sera, mentre la luce scendeva trasformando la città in un presepe di pietra. Era da tempo che una città non mi emozionava come Matera, con la sua storia di abbandono e rinascita, fino alla nomina di Città della cultura 2019. Ne parlerò presto a parte, ma è un luogo oltre il tempo, incastonato in un paesaggio lunare, fra chiese rupestri, scale bagnate di luce, piazze, terrazze su quella città più bassa, scavata nella pietra. Mi piace pensare che sia una città morta e rinata, anche grazie a un libro: Cristo si è fermato a Eboli, che ha fatto conoscere all’Italia come si viveva dentro quei sassi, in quale miseria, in quegli anni. Da quel libro si è messa in moto la ricostruzione, con i suoi alti e bassi.
Il consiglio: non perdete la visita di Casa Noha, gestita dal Fai, che spiega bene la storia stratificata della città.

Puglia

Una volta che sei arrivato fino a Matera, vuoi non fare altri cinquanta chilometri per arrivare fino a Castel del Monte? E così eccoci arrivare nella campagna assolata di Andria, dove sbuca su un’altura questo castello medievale così particolare. Un po’ per la forma geometrica perfetta, un po’ per le simbologie numeriche legate al numero otto. Un po’ per la posizione isolata, come se fosse stato appoggiato dagli alieni fra gli ulivi, un po’ per la pietra bianca calcarea abbagliante. Federico II amava questi luoghi e, affacciandosi dalle bifore del secondo piano, si capisce anche perché (altro che inverni tedeschi, mi viene da dire). E’ più un monumento che un castello, un simbolo, più che un’abitazione. Se ne sta lassù col suo mistero, mentre cerchiamo un posto per il pranzo fra gli ulivi, prima di imboccare l’A14. Ma la maledizione dell’agriturismo domenicale ci castiga un’altra volta: nei dintorni è tutto prenotato. La burrata ci aspetta per la prossima volta.

Info: l’auto va lasciata nel grande parcheggio sotto Castel del Monte, al costo di 5 euro. Da qui una navetta, su cui farete a sportellate con i tedeschi) vi porta sulla collina in pochi minuti, Il biglietto costa un euro, mentre l’ingresso al castello costa 10 euro.

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