La prima immagine che ho di Pantelleria è un produttore che arriva nel suo ristorantino sul mare, un piccolo dammuso dove si può pranzare e degustare i vini, e inizia a distribuire a tutti grappoli di zibibbo. Scende le scale e offre qualche chicco a tutti i bagnanti che riesce a trovare a Gadir. C’è chi sta uscendo ancora dall’acqua, chi sta prendendo il sole. Per tutti c’è un po’ d’uva. La mia Pantelleria è questo. Vite complicata da coltivare in una terra sempre assetata e da raccogliere, con le schiene curve su quei bassi alberelli. Ma anche gente che ci ha accolto con cortesia, in maniera semplice, senza effetti speciali.
Pantelleria, un’isola lontana da tutto
Pantelleria è bellissima e non assomiglia a nessun altro posto, con il suo isolamento e la sua anima nera. Scura è la roccia vulcanica, che a volte ricorda il carbone delle calze della befana, e scuri sono gli scogli su cui si cerca, rischiando a volte di rompersi l’osso del collo, di arrampicarsi per arrivare al mare. Nera è la lava che si è solidificata in mille forme diverse, modellate dall’acqua, creando misteriose creature lungo la costa. Un colore sempre presente che rende il mare ancora più profondo e il verde di capperi e fichi d’india ancora più brillanti.
L’isola ha una sua musicalità orizzontale, solcata com’è da file e file di muretti a secco. Sembrano le righe di uno spartito. Proteggono dalla forza del vento gli alberelli, così è coltivata qui la vite, piccola e bassa (dal 2014 è patrimonio Unesco), con i suoi preziosi chicchi di zibibbo. Ma, ci spiegano, i motivi per cui esistono questi terrazzamenti sono anche altri: ad esempio dividere la terra fra le famiglie e anche utilizzare le tante rocce che sono state tolte dal terreno per fare spazio alle coltivazioni. Ora, passando in auto nella piana di Ghirlanda, ma in realtà in ogni punto dell’isola, sono parte integrante del paesaggio, così come i dammusi, le abitazioni tradizionali.
I dammusi sono fra le tante cose che a Pantelleria ricordano più l’Africa, distante solo 27 miglia, più vicina dell’Italia. Sono piccole case, spesso con una cupola sul tetto, interamente realizzate con la stessa pietra scura che ci circonda. Più volte guardarli, sia che siano moderne case lussuose o ruderi, mi ha riportato a certe valli del Marocco, e alle tante kasbah. Quest’isola, del resto, l’Africa se la porta dentro, nel calore della pietra, nei nomi di contrade e piatti. Anche se queste parole non assomigliano a nessun’altra. Siamo in Sicilia, ma i termini mi portano oltre il mare.
E’ una terra indecisa, Pantelleria. Ha un’anima rurale, abitata da contadini o persone che si arrabattano con più di un lavoro durante l’anno. Ma ha anche un’anima ricercata, che piace ad attori e a personaggi famosi, con le loro case dai muri più alti. Tutto è complicato, sull’isola.
E’ una faccenda complicata fare il bagno, perché le spiagge non ci sono. Ci si può appollaiare sugli scogli o stendere sui pontili: niente di comodo, tutto bellissimo. E’ complicato coltivare l’uva, perché il clima è sempre un nemico da combattere e la produzione di vino, ci dicono, sta calando. E poi c’è sempre un braccio di mare da percorrere, mezzi di trasporto da incastrare, spedizioni da fare. Fino agli anni Settanta molte zone dell’isola non avevano neppure la luce, il desalinizzatore è una conquista recente. La benzina costa tantissimo. Non è facile, essere un’isola.
Ma per chi decide di arrivare fino a qui, in nave o in aereo, ogni scorcio è un regalo, soprattutto se si va fuori dal picco stagionale, quando si coglie la bella anima selvatica.
⇒⇒ Ho scritto anche un post sulle cantine di Pantelleria
Come arrivare a Pantelleria
Arrivare a Pantelleria in aereo
Noi avevamo alcuni giorni a fine settembre e abbiamo volato su Trapani con un volo Ryanair (da Bologna, a circa 100 euro preso tre settimane prima). In realtà ho poi scoperto che ci sono collegamenti diretti anche da altre città, come Parma, Verona e Venezia (con Volotea), ma in generale dopo metà settembre la frequenza cala parecchio (se non del tutto). Da Trapani, poi, ci sono due possibilità. Noi, visto che secondo le previsioni il mare era mosso e volte in questi casi il traghetto non parte, abbiamo optato per il volo Mistral (compagnia delle Poste Italiane, il colore giallo è inconfondibile), che ha un prezzo di 58 euro a tratta: il volo è stato comodo ed è durato circa 40 minuti. In generale consiglio di chiedere direttamente a chi vi ospiterà qualche informazione sul mare per non rischiare di restare a terra: in caso di annullamento del viaggio in nave, infatti, c’è il rischio che gli aerei siano presi d’assalto. Meglio giocare d’anticipo (noi comunque, a settembre, abbiamo comunque prenotato il volo il giorno prima).
Ci sono voli Mistral anche da Palermo.
Arrivare a Pantelleria in nave
Capitolo traghetto. Ce n’è uno lento che parte di notte, intorno alle 23 e arriva a Pantelleria alle 6.30 (69 euro, costa di più con le cabine). Il ritorno è diurno, alle 12 con arrivo alle 17.45. Da gennaio a maggio gli orari cambiano leggermente. In alternativa, ma solo in alta stagione, si può prendere l’aliscafo di giorno: nelle date in cui avevo guardato per noi- quindi settembre- partiva alle 13.40 da Trapani impiegando circa due ore.
Per info e biglietti usate il sito Siremar/Libertylines o siti come Direct Ferries.
Noleggiare un’auto a Pantelleria
Credo che sia impossibile non noleggiare un’auto a Pantelleria, o quanto meno un motorino. E comunque anche così è difficile guidare fra strette e ripide stradine, spesso a doppio senso anche quando passa con difficoltà una macchina sola. Ma almeno avrete la possibilità di raggiungere tutti i posti, anche quelli più sperduti, o le cantine. Per quanto riguarda i prezzi ho trovato molte soluzioni (sempre nel mese di settembre) sui 35 euro al giorno (anche il dammuso, per un prezzo simile, può mettere l’auto a disposizione). La benzina, che si trova solo a Pantelleria centro, è piuttosto cara, sfiora i due euro al litro.
Alloggiare a Pantelleria
Capitolo pernottamenti. In generale sconsiglio di trovare una sistemazione a Pantelleria città, paese che ho trovato notevolmente più brutto rispetto all’isola. Completamente bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale oggi offre il porto da cui partono i diversi giri in barca dell’isola, qualche gelateria, ma davvero poco altro (oltre i negozi). Insomma, non sembra fare parte della stessa isola e io consiglio vivamente di dormire in un dammuso, dove spesso c’è il servizio di B&b o, come nel nostro caso su richiesta, di mezza pensione. Ci siamo trovati benissimo a Il Cortiglio, vicino alla contrada di Scauri: si tratta di un vero e proprio agriturismo, gestito da due medici in pensione, in parallelo con un’altra azienda agricola, la principale, di Avellino.
I dammusi sono belli e si affacciano su un giardino con una piccola ma gradevole piscina. Si mangia all’aperto davanti al mare e sotto un cielo stellato e vale la pena di fermarsi almeno per una cena perché il proprietario è davvero un asso ai fornelli e combina gli ingredienti tipici dell’isola, come capperi, cucunci e insalata pantesca, ai sapori campani. Tutto biologico o fatto in casa (come il liquore di fico d’india) a prezzi ragionevoli, anzi sicuramente più convenienti di molti ristoranti dell’isola. A notte, con colazione, abbiamo speso in due circa ottanta euro.
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