Fiji
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Le mie Fiji

La vista della finestra della casetta

E’ un pomeriggio bolognese di quelli in cui il cielo si piazza in modalità grigio topo con l’aria di volere restare così per giorni. Proprio come la pioggia. Clima ideale per ripensare alle Fiji, e non solo per farsi del male. In effetti nella nostra permanenza sull’isola di Tokoriki il sole non si è fatto vedere quasi mai e ci siamo fatti un’idea piuttosto precisa di cosa siano le piogge tropicali. Uno smacco, una volta che si vola fino a là, e pure nella stagione asciutta (settembre)? In realtà no. In fin dei conti, chi può avere il coraggio di lamentarsi dopo avere passato quasi tre settimane in Nuova Zelanda? La tappa alle Fiji era il coronamento del nostro viaggio di nozze. E lo è stato, anche sotto l’acqua. E, soprattutto, ha rappresentato la chiusura del cerchio: gli antenati dei Maori, infatti, arrivarono in Nuova Zelanda mille fa non dalla vicina Australia, ma proprio dalle isole del Pacifico. Loro navigarono a bordo di canoe, noi abbiamo volato per quattro ore da Christchurch, ma alla fine abbiamo concluso il nostro viaggio un po’ da dove è partito il loro. Più o meno.

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Delle mie Fiji ho scritto un articolo qualche tempo fa per il giornale per cui lavoro. Ogni settimana dedichiamo una pagina al viaggio di un lettore e quella volta ho raccontato il mio. Lo ripropongo qui, un po’ rimaneggiato (che bello, su Internet non ci sono problemi di spazio), pensando ancora una volta al regalo più bello che ci ha fatto il Pacifico: il recupero della calma (ammesso che io l’abbia mai avuta) e del tempo lento. E della gentilezza (questa sconosciuta,). Per tutto il resto c’è la Visa, vien da dire, ma da quanto ho capito esistono formule alternative al classico resort e più economiche che vorrei sperimentare in futuro. Ma non mi dilungo oltre, ecco il racconto.

La 'nostra isola' dalla barca

La ‘nostra isola’ dalla barca

L’immagine più classica che abbiamo del Paradiso è quella dell’isola con acqua trasparente e sabbia bianca. Palme. Tutto questo diventa improvvisamente reale alle Fiji, disseminate, come astri di una costellazione, in mezzo all’Oceano Pacifico. Ed è vero che ci si va quasi sempre in viaggio di nozze nella formula fissa del resort, con i suoi limiti e problemi, ma non si esaurisce tutto qui. Le isole di questo arcipelago sono tante e tutte diverse. Con un tratto comune: la lontananza da tutto. Ci si sente alla fine del mondo già dall’areo: veniamo dalla lontanissima Nuova Zelanda eppure il volo dura altre quattro ore.

Tutti arrivano a Viti Levu, l’isola più grande, con il suo aeroporto internazionale, planando su un universo d’acqua. Atterri ed è subito Pacifico: come comitato di accoglienza ci sono musicisti con ukulele e fiori fra i capelli e stampati sulle camicie. Quei fiori profumati, i tipici frangipane, te li trovi al collo poco dopo, raccolti nelle corone viste in film e cartoline. Sono questi allegri musicanti a spiegarti che il fuso orario è cambiato: ora regna il Fiji time, è tempo di relax e di mettere l’orologio in valigia. Questa isola, che sembra la ‘terraferma’ è punto di passaggio verso gli atolli, raggiungibili in barca, elicottero o idrovolante. L’economia si basa sul turismo, ma anche sulla canna da zucchero. Attraversando la città di Nadi, si scorgono i binari di un treno merci che sembra avere visto tempi migliori, che trasporta il raccolto delle piantagioni. Spiccano i colori di un tempio induista, ma poco di più, in mezzo a strade trafficate e case basse dall’aria precaria. Per un attimo mi ricorda Cuba, per la povertà, per quella sua aria un po’ vissuta e l’aria umida. Ci sono tantissime chiese, protestanti e cattoliche, e campi da rugby: è lo sport più diffuso qui.

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Ma tutto cambia quando ci si imbarca verso i resort: all’orizzonte solo cielo e acqua, interrotta da piccole strisce di terra. Ognuno naviga verso la propria isola. Si è naufraghi felici, quando si sbarca, scendendo con i piedi nell’acqua in assenza di un vero e proprio molo. La nostra si chiama Tokoriki. Un altro comitato di accoglienza ci aspetta sulla soglia: «Benvenuto a casa», ti dicono le donne del posto (e in mano ti ritrovi pure il primo drink). E in effetti per qualche giorno quella piccola isola diventa come una casa e gli ospiti, alloggiati nelle casette dal tetto di paglia, volti familiari.

La vista della finestra della casetta

La vista della finestra della casetta

Si va e si viene e ci si incontra nel vialetto fra bouganville e frangipani. Insieme si esplora il mare, che incanta i sub. L’oceano custodisce coralli, pesci colorati e, per gli amanti del brivido, tanti squali. Si nuota, si va in kayak, o si visita l’isola dirimpettaia in cui è stato girato il film Cast Away. Ed eccola che si prova un po’ di invidia per il naufrago cinematografico Tom Hanks che per mesi ha lavorato su questa spiaggia circondato da palme da cocco.

Cast Away island, Fiji

Cast Away island, Fiji. Non ho visto il film, ma essere lasciati qui non sarebbe poi così male

Ma la propria isola è il rifugio in cui si torna. Con i tramonti da assaporare dall’amaca, o le voci calde degli isolani che accompagnano la cena con le chitarre. E poi c’è lui, il mitico okulele, che mi riporta alle atmosfere di quei film che mi sono sempre piaciuti, come Da qui all’eternità. Tutti i membri dello staff vengono dai villaggi vicini e hanno una gentilezza innata. «Per noi il turismo è un lavoro – mi spiega un ragazzo del posto che fa davvero di tutto –. Ma a noi figiani viene naturale, perché da sempre siamo un popolo ospitale». Lo si sperimenta anche la sera quando ci si siede in cerchio su una stuoia bevendo yanggona (quella che in Polinesia si chiama kava): è una bevanda diffusa in tutto il Pacifico ottenuta da una radice polverizzata e mescolata ad acqua. Non manca mai in tutte le occasioni importanti e di solito la si assaggia su invito del capo tribù. Scalda anche noi ospiti che veniamo da tutte le parti del mondo, pure troppo. A mandarne giù un po’ troppo l’effetto è diciamo, rilassante.

Di sera si ride e la domenica si va in chiesa per la messa con il rito metodista, al quale partecipiamo con parte dello staff dell’albergo. Il celebrante, in sarong e cravatta, parla in figiano e non ci resta che seguire la musica. Quella non ha mai bisogno dei dizionari.

Pausa col cocco

Pausa col cocco al Tokoriki

Isole Fiji: informazioni pratiche

Quasi sempre i voli internazionali arrivano a Nadi, fra i principali centri delle Fiji, verso sera, quando ormai i collegamenti con le altre isole sono impossibili. E’ quindi altamente probabile che dobbiate pernottare qui, per poi imbarcarvi (sempre che non andiate in elicottero) la mattina successiva. Noi abbiamo dormito al Novotel, fra l’areoporto e la città, e non è stato male. Non credo esistano troppe sistemazioni di fascino in questa zona.  Ci si può anche avventurare in taxi in città la sera, ma abbiamo parlato con persone che non ce l’hanno troppo consigliato. Chissà, a voi provare.

Quando si arriva al porto si deve fare la coda per cambiare il voucher con un biglietto e intanto si imbarcano i bagagli, proprio come in aereo. Meglio arrivare un paio d’ore prima, le procedure da questa parte del mondo non sono mai molto veloci. Per arrivare alla ‘nostra’ isola di Tokoriki abbiamo impiegato circa un’ora e mezza.

Qualche dritta sul resort. Noi abbiamo scelto la formula del tutto completo: avevamo tre pasti al giorno, oltre la merenda con the/caffè e dolcetti. Si pagano invece tutti i drink e il vino al tavolo. Il Tokoriki è solo per adulti, quindi i bambini non sono ammessi. Abbiamo incontrato molta gente che tornava sull’isola dopo esperienze di anni passati: ottimo segno, ho pensato, ma non mi è sfuggita la vista di birre che si portavano da Nadi: può essere un consiglio per risparmiare un po’, almeno con le bevande in camera.

La chiesetta metodista di Tokoriki

La chiesetta metodista di Tokoriki

Il Tokoriki è un posto bellissimo, le persone che lavorano sono gentilissime e il numero dei clienti che tornano di anno in anno è alto. Ogni sera viene proposta una piccola animazione, ma è molto soft e si può tranquillamente tagliare la corda senza essere inseguiti. Due volte al giorno parte la barca per andare a vedere la barriera corallina e fare snorkelling: è una delle attività gratuite, mentre il diving e l’escursione in altre isole sono a pagamento. Per il resto è facile fare amicizia con la gente del posto, anche viste le dimensioni ridotte: sull’isola ci sono solo due piccoli resort e non si va certo troppo in giro. O si sta nel proprio piccolo tratto di spiaggia o si prende un kayak per raggiungere da soli i punti per le immersioni. Si fa una vita molto semplice, scandita dal rumore del mare e dall’ondeggiare dell’amaca. Ovviamente non mancano Spa e campi da tennis, ma non ho provato. Buonissima, invece, la cucina. Un indirizzo che consiglio assolutamente anche se piuttosto caro.

Noi ce lo siamo potuti permettere perché eravamo in viaggi di nozze. Del resto è anche in posizione numero 16 fra i migliori alberghi al mondo per gli utenti di Tripadvisor (qui un altro articolo dalla stampa locale delle Fiji).

Sull'amaca alle Fiji

Ah che brutta l’amaca!

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