La Nuova Zelanda è famosa soprattutto per la natura, nessuno ci andrebbe soltanto per le città. Io stessa, appena arrivata a Auckland, ho avuto la sensazione che fosse un po’ priva di forma e di coerenza, anche se poi ora penso che come giudizio sia stato ingeneroso. Dovendo selezionare le tappe di un viaggio fin laggiù è ovvio che consiglierei prima altre mete, ma non si possono tralasciare alcune città per capire meglio quel senso di novità e libertà che si trova in tutto il Paese. Una premessa: le città della Nuova Zelanda non sono grandi. L’unica ad avere dimensioni da metropoli è Auckland, mentre la capitale Wellington, in quanto ad abitanti sembra più una nostra città di provincia. In tutto il resto delle due isole ci sono praticamente solo paesi, alcuni costituiti da una strada con case a lato. Ma questo è poi uno degli aspetti più interessanti.
Auckland
Parto da qui la rassegna delle città della Nuova Zelanda perché ospita l’aeroporto dove normalmente atterrano i voli intercontinentali. E’ l’unica metropoli della Nuova Zelanda: un milione di abitanti, sui quattro totali, vive qui. Il centro non mi ha fatto un’impressione particolare: la piazza principale sembra quella di un centro commerciale e nei paraggi si trovano soprattutto ristoranti e fast food. Le strade in questo punto della città poi sono piuttosto larghe e trafficate. In una di queste, Victoria Street, si sale sulla Sky Tower, cosa che consiglio di fare subito appena arrivati. Una visuale dall’alto è importante perché consente di cogliere la vera essenza di Auckland: quella di essere una città portuale, che si distende fra due due mari (quello di Tasmania e l’oceano Pacifico). E, non a caso, uno dei locali più belli lo abbiamo trovato lungo la marina (lo Snapdragon, ambiente un po’ hipster e ostriche favolose). L’altro elemento che si coglie fra i palazzi che sembrano distribuiti senza un piano troppo coerente, sono i vulcani estinti: oggi sembrano colline che svettano fra le case. Noi siamo saliti fino al Monte Eden, dove si trova uno di questi crateri, ricoperto di quell’erba brillante così ricorrente in Nuova Zelanda. Terzo aspetto, sono proprio le colline, i vari su e giù che ritmano la città. Uno dei quartieri più belli è quello di Parnell, con case basse di legno, che risalgono agli anni Trenta. Oltre alla serie di ristorantini e locali etnici, molto vivaci la sera, si trova anche una delle chicche dal punto di vista architettonico: la chiesa bianca di Saint Mary. L’interno, completamente rivestito in legno scuro, garantisce un salto indietro nel tempo. Con un’altra mezza giornata a disposizione, è davvero bella la gita alla Waiheke Island. E’ un posto unico, perché si trova un clima straordinariamente simile al nostro Mediterraneo e da poco tempo hanno iniziato a coltivare l’olivo. L’isola, una volta amata dagli hippy, è soprattutto famosa per il vino ed esistono tour che accompagnano in alcune aziende per le degustazioni davvero ben fatti. Il must qui è il rosso (taglio bordolese).
Wellington
E’ la capitale del Paese e, rispetto a Auckland, ha l’aria più compatta. Ripeto: in nessuna di queste città si passeggia per un bel centro storico e gli sparuti palazzi d’epoca (che qui è poi un fine Ottocento) sono un po’ inghiottiti dai grattacieli. Ma è lo stesso, perché a Wellington bisogna cercare altro. Ad esempio i bar, i musei, e il porto. Partiamo da quest’ultimo. La città è affettuosamente soprannominata dai neozelandesi windy welly e da quello che ho capito da queste parti certi giorni soffia una specie di bora. Noi siamo stati fortunati perché Wellington ci ha regalato una di quelle giornate terse di inizio primavera, ideali per passeggiare sul lungomare. Il porto è ‘antico’ e vi si trova anche la più vecchia gru ancora in attività. Ma la cosa più bella è guardare le persone del posto (che passano di qui anche per accorciare il tragitto, più lungo se si attraversa il centro). La mattina la gente che va al lavoro cammina di fretta, mentre in pausa pranzo è incredibile in quanti vengano qui per correre. Belle le sculture letterarie, che formano un vero e proprio itinerario per la città e anche alcuni locali, fra cui lo stiloso Fish Shack. Sempre sul mare c’è il Te Papa, il museo più famoso del Paese. E giustamente direi, visto che è come un libro aperto sulla storia neozelandese e sulle tradizioni maori. I reperti non sono molti, ma è un luogo ben rappresentato dal nome, che significa scrigno del tesoro. Articolato su cinque piani, all’interno c’è di tutto: dalla casa che simula una scossa di terremoto, al calamaro gigante, fino al Trattato di Waitangi, che ha segnato l’inizio della sovranità (ancora controversa) inglese. Consiglio la visita delle 10.30 con una guida locale (la nostra aveva il padre maori): fornisce alcuni strumenti di lettura del museo, da rivedere poi con calma da soli. Terzo consiglio: salire sulla cremagliera rossa che porta ai giardini botanici e tornare a piedi in città, passando per un cimitero monumentale insolitamente attraversato da una tangenziale. Imperdibile anche la visita al centro di produzione Weta, dove in paio d’ore si arriva a capire che razza di lavoro meticoloso ci sia dietro ai kolossal come ‘Il Signore degli anelli’.
Christchurch
Che cosa pensereste se la vostra città avesse una voragine nel centro storico? Se le case fossero o abbattute, o in ricostruzione o inagibili? Se quello che è il cuore pulsante della città fosse un cantiere? Così ci è apparsa la seconda città più grande della Nuova Zelanda, profondamente segnata dai due terremoti che l’hanno colpita fra il 2010 e il 2011. E così, quella che doveva essere un punto di riferimento per gli studenti universitari, oggi si sta rialzando, e con grande vitalità. Anche se, devo dirlo, il clima sembra essere più capriccioso che mai e vedere quelle case puntellate e la cattedrale squarciata fa impressione. A proposito, la nuova cattedrale provvisoria, interamente realizzata in plastica e cartone è commovente, soprattutto se avrete la fortuna di trovarvici durante una cerimonia e di sperimentare la calorosa spiegazione dei volontari. Questa chiesa è un vero simbolo di speranza. L’altra cosa emozionante di Christchurch, nata per essere più somigliante possibile alla madre patria, è che è un affaccio sul futuro. Permette di capire come una città verrebbe costruita ora, da capo, negli anni Duemila. E quindi si può disegnare un luogo con materiali nuovi, con una maggiore attenzione all’ambiente. Ad esempio il nuovo Mall è una serie di container colorati. Ma, se pur provvisorio, spero che resterà così perché questi negozi piccoli e bassi sono davvero vivibili ora. Molte case di legno, per fortuna, hanno resistito alle scosse. Fra queste c’è la bella guest house che ci ha ospitati e un ristorante ricco di personalità: l’Harlequin Public House.
Queenstown
E’ un mix fra una città asiatica per backpackers e Cortina. Ma non vuole essere un giudizio negativo, perché Queenstown, adagiata sul lago e circondata da cime innevate, è davvero frizzante. Però paga la sua notorietà cedendo parecchio al turismo. Se da una parte si trova un po’ di tutto, come alloggi, ristoranti e attività, dall’altro è l’unico posto in Nuova Zelanda dove ho trovato una boutique di Luis Vitton. Nel senso: per un attimo è sparita quella sensazione di trovarsi in capo al mondo e sono stata contenta di non avere pernottato qui. Qualche ora nel posto probabilmente più famoso dell’Isola del sud a me è bastata. Però penso che per sciare sia davvero stupendo, su quei monti Remarkables che svettano davanti al paese. Così come, nella città che dà i natali al bunjee jumping, ci si può avvitare in acqua dentro la sagoma di uno squalo, o lanciarsi sull’acqua con delle jet boat. Giusto per citare alcune delle attività adrenaliniche proposte dagli uffici turistici. E poi c’è un’altra cosa: i dintorni di Queenstown, in compenso, sono bellissimi. In questo punto dell’Otago centrale si può fare un giro in bici fino alle cantine della Gibbston Valley o un salto nel tempo a Arrowtown, minuscolo paese che sembra rimasto fermo ai tempi della corsa all’oro.
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