Dopo diverse scorribande, ho finalmente capito qual è il mio angolo preferito di Toscana. Ho avuto la fortuna di visitare parecchie zone, dall’Appennino fra Bologna e Firenze alla Maremma (mi mancano solo Livorno e Pisa, devo rimediare), ma il mio cuore batte per la Val d’Orcia. Fin qui sento di non essere molto originale, mezzo mondo la ama, ma restringerò di più il campo: il posto in cui ho sentito l’urgente voglia di tornare nei giorni scorsi è il piccolo borgo termale di Bagno Vignoni. Visto che ne avevo già parlato in questo post più di un anno fa, questa volta racconto un itinerario diverso, scelto per far vedere a Patrick (che è stato sette volte in Giappone e mai qui) quello che mi pareva imperdibile per una prima volta. La bellezza da queste parti si paga, ma un paio di giorni permettono di vedere molto senza svenarsi, a patto di non esagerare con il signor Brunello di Montalcino.
Bagno Vignoni
Ci sono stata in primavera, in autunno e in pieno inverno. E tutte e tre le volte ho apprezzato un’atmosfera diversa. L’energia delle prime giornate in maglietta nella fiabesca campagna toscana, o i vapori che si alzavano nel buio dalla vasca romana al centro del piccolo borgo. L’ultima volta a incantarmi sono stati i colori caldi di metà ottobre: l’acqua rifletteva gli edifici che si affacciano sulla corte rivestendoli di una luce dorata. Insomma, questa minuscola località termale circondata da ulivi che si trova poco prima di San Quirico d’Orcia mi regala sempre sensazioni di pace. E il bello è proprio che tutto qui ruota attorno all’acqua, che in pieno centro sgorga a 52 gradi. Incantevole anche la piazzetta su cui si affaccia la Locanda del loggiato, il posto ideale per dormire: la sala comune per prendere un tè e fette di torta davanti al camino vale il viaggio.
Per il resto c’è qualche negozio di prodotti tipici, una libreria, una famosa erboristeria e qualche locale per mangiare. Fra questi, segnalo l’Osteria del leone. La cucina è ottima, ma si paga la posizione isolata nel borgo: 90 euro per due calici di vino, due antipasti, due secondi e senza dolce. Comunque, basta saperlo per decidere se investire 20 euro in un piccione arrosto (davvero delizioso, non mi pento).
Questa volta, comunque, ho scoperto nuove cose. Come la lapide romana che si trova oggi sotto il loggiato che racconta di dei e ninfe. Mi affascina che dall’antichità questo luogo non abbia cambiato troppo identità. L’altra cosa che ho capito è che il giovedì è il giorno peggiore per trovarsi nei paraggi visto che sono chiuse le vasche termali all’aperto. Sono aperte tutto l’anno, fino alle 17 (nel fine settimana si può andare anche di sera), tranne, appunto, il giovedì. Questo significa che anche altre attività del posto si fermano nello stesso giorno. L’esperienza termale, così, l’abbiamo fatta all’Hotel delle Terme: nei giorni infrasettimanali l’accesso costa 28 euro e rinnovo il mio giudizio positivo: è un luogo curato, ma semplice, per un autentico relax. L’altra scoperta entusiasmante è stata Bagno Vignoni ‘alta’.
Lasciando il parcheggio gratuito all’ingresso del paese, si imbocca una strada sterrata che gira sopra il borgo. Ci siamo inerpicati alla ricerca di una cantina imbattendoci in distese di viti che disegnavano le colline. Davanti a noi, il cucuzzolo di Rocca d’Orcia, circondata da un’esplosione di toni caldi e rossastri. Ovunque pampini verdi mangiati dal giallo, mentre i cipressi scuri definivano i profili dei campi. Nel sottobosco, invece, le macchie rosa dei ciclamini. E’ in questo paesaggio incantevole e rassicurante che sorgono le case in pietra di Bagno Vignoni alta: come sempre in certi borghi, purtroppo, la sensazione è un po’ di desolazione, fra quegli scuri serrati nel silenzio, ma la pace risuona fra queste case perfette e la graziosa chiesa romanica di San Biagio, che sembrano uscite da un mondo perduto.
Autunno in #valdorcia #bagnovignoni #vino #countrysidelife Una foto pubblicata da letizia (@letidzia) in data:
Ho introdotto l’argomento vino. Ovviamente è parte importante di questo itinerario, così come lo straordinario olio extravergine di oliva. Un’ottima sintesi si trova nell’azienda Poggio Grande, guidata da Luca Zamperini e famiglia, che ci ha accolto con una interessante degustazione guidata (anche senza prenotazione, ma nel dubbio chiamerei). E da queste parti non è scontato visto che siamo a un passo dai grandi signori del Brunello, abituati ai danarosi gruppi di stranieri. Qui, invece, abbiamo bevuto la Doc Orcia, che proprio il proprietario ha contribuito a far nascere qualche anno fa insieme con altri produttori. Abbiamo provato un ottimo Sangiovese base, il Piano, e la riserva, il Sesterzo (18 euro). La scelta dell’azienda è di farlo riposare dai 24 ai 30 mesi in legno, lasciando il vino il minimo possibile in acciaio. Abbiamo assaggiato l’annata 2013, davvero buonissimo. Vale anche per il Syrah, che nasce in vigne collocate sopra i 600 metri. I vini poi dipendono dalle vendemmie: se non è soddisfacente per una determinata etichetta, questa non esce e i produttori puntano su altre bottiglie. Infine, l’olio: abbiamo avuto la fortuna di assaggiare quello appena fatto, nel vero senso della parola. Le olive erano state raccolte il pomeriggio prima: tutta la notte è stata fatta la filtrazione (con il cotone) e la mattina stessa era stato imbottigliato. Wow.
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