Uno degli aspetti che mi sono più rimasti impressi del mio viaggio fra Thailandia e Laos è stato l’incontro con loro: i viaggiatori, zaino in spalla o meno, conosciuti di continuo nell’arco di questi incredibili quindici giorni. Certo, non è stata la prima volta che alcune persone che hanno condiviso con me (per ragioni che restano assolutamente misteriose) anche solo qualche ora in un Paese siano rimaste presenze vive nella mia memoria una volta tornata a casa. In alcuni casi è rimasta una presenza fisica, come tangibili sono le foto che mi mandò, a Natale, una ragazza tedesca con cui avevo condiviso per caso alcuni giorni di trekking in Islanda. Quindi, è vero che in viaggio cerchiamo il contatto soprattutto della gente del posto (se no in fondo, che ci siamo andati a fare fino a laggiù). Ma è anche vero che a volte il viaggio è racchiuso in altri viaggi, come un sistema di matrioske, di persone che sfioriamo solo per un attimo. I loro racconti ci ispirano nuove avventure, ci portano con loro in altri mondi, spesso nei loro mondi. Che forse saranno la nostra prossima meta. Ecco, perché questo pensiero degli altri viaggiatori mi ronza nella testa così tanto dopo il Laos? Perché non ne ho mai conosciuti tanti tutti assieme e con storie così fuori di testa. Perché mi hanno fatto pensare che le scelte nella vita sono continuamente possibili. Mi hanno dato idee e, a volte, un po’ di conforto. O forse è il potere di questo angolo di Asia che calamita persone con sete di conoscere. O, come diceva Terzani, che sperano di trovare una diversa spiritualità di cui l’Occidente sembra essersi svuotato. Di certo, la sensazione è che tutti in Asia vengano a cercare qualcosa. Ma penso che tutti ripartano con più domande di prima.
Aspettando il temporale a Luang Prabang
Ed eccola la mia galleria di personaggi, di compagni di avventura che hanno acceso una scintilla con i loro racconti. I primi non potevamo non incontrarli a Luang Prabang, la Mecca dei backpapers, il regno di quelli che possono fermarsi quanto vogliono perché tanto hanno tempo. Mentre eravamo seduti in uno degli adorabili localini del centro, riscaldato dalle luci delle lanterne, ci ha letteralmente adescato Geremie, scalzo, coi pantaloni thai d’ordinanza e un buon numero di treccine. Odio quando i francesi ti attaccano bottone in inglese, mi piacerebbe tanto dire ‘ehi, ma le nostre lingue sono tanto più simili!’ Ma va così e, dopo la rituale domanda introduttiva: di dove siete? si intrecciano itinerari, esperienze in barca, viaggi in pullman. Luang Prabang è più cara della Thailandia del Nord, sentenzia. Non sa bene quanto si fermerà, poi andrà in Vietnam. Parte un’altra BeerLao ed è lì che inizia a starmi davvero simpatico, quando capisco che è poi un finto fricchettone: andrà anche in India, dopo l’Indocina, ma solo dopo avere presenziato a casa, a Natale. Inizia a piovere e si aggiunge un certo Denis. Ah quanto gli piace l’Italia, ma lui vive a Bordeaux, a un passo dal rumore dell’oceano, dove per sei mesi lavora nella sua gioielleria. E il resto del tempo? Va e viene dall’India, dove cerca pietre e materiali. Lo invitiamo a fare couch surfing a Bologna: c’è da credere che prima o poi lo vedremo comparire.
Questi non hanno paura di nulla
E poi eccola la famiglia più simpatica del mondo. Genitori sulla quarantina (ma forse pure più giovani) che avanzano con due ragazzini, con lunghi capelli biondi, ognuno con il suo zaino sulle spalle. Sono Caleb e Isaiah, che si uniranno a noi per tre giorni nella navigazione del Nam Ou. Il tempo di rompere il ghiaccio e capisco perché mi attirano tanto: sono partiti da aprile e stanno facendo una sorta di giro del mondo nell’arco di un anno. Dall’Islanda al Sud America. Sbalorditivo, altro che scuola. It’s a different education, la mette così il padre. E, cavoli, eccome se lo è. I ragazzi hanno 9 e 11 anni, questi dodici mesi passati in famiglia in giro per il mondo resterà un segno indelebile. Tengono un blog su cui leggiamo che la progettazione è durata quattro anni, poi è arrivata la scelta condivisa di partire. E’ stato bello vedere come i bambini si divertissero a conoscere i loro coetanei nei villaggi che visitavamo lungo il fiume. Infanzia distante anni luce. Sono stati una bella compagnia nelle cene serali, mentre si divertivano con le bacchette e i noodles. Si sono concessi solo il grande classico dei bambini in barca (ma quanto manca?). Ci hanno regalato leggerezza con il loro entusiasmo. E’ stato bello vederli lanciarsi su un ponte sospeso come se fosse un gioco. Mentre io morivo letteralmente di paura su quelle maledette assi di legno sospese nel vuoto, per loro il viaggio era prima di tutto un divertimento. Sotto lo sguardo protettivo di mamma e papà. Ah dimenticavo: se non ci fossero stati loro, quel ponte malandato non l’avrei mai attraversato.
In gruppo la giungla fa meno paura
Dal Canada vengono anche i due ragazzi, biondissimi, che si uniscono, all’ultimo momento, al nostro trekking nella giungla. Meno male, penso subito, non saremo soli quando incontreremo serpenti e tigri (che con loro grande disappunto non abbiamo mica poi visto). Anche in questo caso mi affascina la spontaneità, l’entusiasmo. Non si curano come me delle zanzare ogni secondo. La loro presenza, mentre chiacchieriamo con la mitica guida Kit rende la fatica della salita un po’ più leggera. E dire che lo sforzo, con questo caldo, è tanto. Ma il bello viene la sera, quando la notte cala prestissimo sul villaggio custodito dalla giungla. Prima di andare a dormire dopo il solito pasto a base di carne piccante e riso glutinoso, davanti al fuoco e sotto le stelle affiorano frammenti di vita. Il freddo incredibile degli inverni di Vancouver, il divertimento nello scoprire che siamo fan di True Detective, che il personaggio preferito di Lost è Jack. Ma, mentre Kit racconta dell’incredibile nevicata sulla giungla di qualche anno fa, scopriamo che il loro lavoro è piantare alberi e lo fanno fino a ottobre. E così nei mesi invernali viaggiano, sono già stati due anni in Messico, nelle acque calde perfette per surfare. Quest’anno, il giro in Asia, dalla Thailandia al Vietnam. Quanto è lontano il loro mondo dal mio, con le ansie dei contratti e della stabilità, penso mentre il silenzio cala nella nostra capanna. Dove tutti assieme aspettiamo il mattino.
Cartoline dal Laos
E poi ancora, mi ricordo di tutto loro, in ordine sparso. Tipper, instancabile viaggiatrice e, se vogliamo, petulante signora australiana. Anche per lei, non più giovanissima, il viaggio era partito 5 mesi prima, dall’Iran. Tempra incredibile, del resto, come tutti gli australiani, che alle insidie della natura sono più che preparati. E poi i due nostri compagni nel surreale pullman notturno da Luang Namtha a Luang Prabang: un giovane giapponese originario delle zone ferite dallo Tsunami e una londinese di origine giamaicana. Altissima, nerissima, imponente: la vita nella City, ma il cuore nei Caraibi. Pare abbia scioccato i bambini dei villaggi. Con loro siamo stati caricati su un tuk tuk un’ora e mezza prima di prendere il bus che sarebbe partito… con un’ora e mezzo di ritardo. Con loro ci siamo accovacciati sui sedili strapieni di donne, pacchi, bambini e pure un monaco che sembrava tutto fuorché zen. E poi ancora un tizio (non mi ricordo il nome) che, appena arrivato in pensione, ha pensato bene di attraversarsi in auto l’Africa partendo dalla Svizzera. Storie incredibili, gente nel mondo. Alcune delle più simpatiche cartoline dal Laos.
Ps. C’è chi un viaggio di mesi, con un biglietto di sola andata, in questo momento l’ha appena iniziato. Ecco, questo post mi è venuto in mente anche pensando a Claudia di Travel Stories
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