In Italia, a differenza di moltissimi Paesi in giro per il mondo, è possibile: ci si può bere il territorio. Ho sempre pensato che il vino, così come la cucina, raccontasse tantissimo di un luogo. La sua storia, i suoi colori, i suoi profumi. L’ultima volta che mi è successo? Pochi giorni fa, in Liguria, dove ho provato per la prima volta un’ottima cantina di Monterosso: quella di Natale Sassarini. E proprio seduta in un ristorante in riva al mare in questo adorabile paesino ho provato il suo vino base: la sua Doc Cinque Terre.
Ma facciamo un passo indietro. In questo bicchiere, infatti, ho ritrovato il percorso e la fatica appena fatta raggiungendo a piedi Monterosso da Levanto. Un sentiero del Cai di circa due ore e mezza percorso con molta emozione anche per il contesto. Mi trovavo, infatti, a un raduno di blogger di viaggi (#welevanto, ecco il link allo storify). Vedere dal vivo alcune persone che potevo dire di conoscere solo in foto, o per uno stile di scrittura, o per un taglio originale di un post mi è sembrato molto strano e molto bello. Nuovi sentimenti al tempo del web che affollavano la mia testa prima di partire per la piccola spedizione, ma che poi sono svaniti lasciando posto solo allo stupore davanti alla natura del luogo. A unirci, nel sentiero che si inerpicava nel bosco, lo stupore per quel mare azzurro che si spalancava sotto i nostri occhi, per i fiori profumati, per le erbe aromatiche. Ginestre, aglio selvatico, fiori bianchi: sono solo alcune delle tante piante che ci sono state mostrate dalla nostra guida Roberto.
Ecco, forse esagero un po’, considerando che sto parlando di un vino base e meno complesso di altri di questo produttore, ma posso dire di avere ritrovato quel sentiero dentro il calice di Cinque Terre Doc. E anche la difficoltà di certi tratti della salita, perché non va dimenticato che la viticultura da queste parti è fatta di gesti eroici, come la vendemmia, che spesso viene effettuata a strapiombo sul mare. Nulla è regalato in questo vino, fatto di Vermentino, Bosco e Albarola, che si concedono solo per poche migliaia di bottiglie l’anno. Non ho avuto modo di recarmi in cantina, ma posso dire che, appena seduta, accaldata e affamata, questo vino mi ha raccontato molto di sé. In quel giallo paglierino, che rifletteva la luce del sole di maggio. Mi ha rinfrancata con la sua freschezza, mentre ho ritrovato il mare nella sapidità. Ma, così come la curva delle colline, mi ha anche conquistato per la morbidezza (e per la buona alcolicità). Una bevuta equilibrata, davvero. E non solo: perfettamente adatta alla pasta al pesto e alle acciughe che mi sono state servite. Dopo un brindisi con i nuovi compagni di viaggio.
Dai luoghi visti e assaporati, a quelli ricordati. Sempre grazie a un calice di vino, questa volta proprio di Levanto. Si tratta di un Vermentino in purezza, della Cantina Levantese. L’ho assaggiato solo tornata a casa, per ridurre la nostalgia del viaggio davanti a trofie al pesto. Anche in questo caso, nei profumi mi è sembrato di riconoscere quei fiori gialli visti sul quel sentiero. Anche in questa Colline di Levanto Doc ho ritrovato note salmastre e minerali del paesaggio ligure. Anche se le parti dure sono perfettamente controbilanciate dall’alcolicità (13,5%). Insomma, l’avete capito, un’ottima bevuta.
Nota finale, in questo post ho raccontati i ‘sorsi’ per raccontare un luogo. Per sapere qualcosa di più di questi luoghi meravigliosi, ecco altri due post tutti da leggere: In barca alle Cinque Terre, favola dal mare e #welevanto, un’occasione per scoprire Levanto e le Cinque Terre
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