Cosa c’è di meglio nelle prime vere giornate autunnali di Bologna di scrivere bevendo un té comprato in Giordania? Scrivere di Giordania, appunto, un Paese che mi ha conquistata con i suoi deserti rocciosi, i siti archeologici, gente simpatica e una cucina strepitosa. E per Petra, ovviamente, per molti la meta principale del viaggio. Dopo due esperienze in Giordania posso dire che non è proprio così e che c’è davvero tanto altro da vedere, ma è indubbio che in fondo a quella gola si apre davvero un mondo parallelo, misterioso, lunare. Sembra di avere attraversato una porta per un’altra dimensione senza essersene davvero accorti e quindi… sì, davvero ne è valsa la pena tornarci due volte.
Il punto è – e lo racconto in questo post- che non è facilissimo prima di partire capire come visitare questa città perduta, soprattutto se si è viaggiatori indipendenti. La prima volta, infatti, sono arrivata con un piccolo tour organizzato da Tel Aviv e abbiamo avuto a disposizione solo una mezza giornata (dalle 7.30 alle 15). Decisamente troppo poco, per una delle Sette Meraviglie del mondo moderno, ma non potevamo fare diversamente. La seconda volta, lo scorso maggio, ho invece dedicato un giorno e mezzo all’esplorazione del sito e penso sia l’ideale. Se poi avete più tempo e amate i trekking, ci sono molti sentieri che partono dal tragitto principale, quindi i giorni possono raddoppiare tranquillamente.
Sì, ma cos’è Petra?
Per molti Petra coincide con il Tesoro, cioè l’antico sepolcro scavato nella montagna in cui arriva un favoloso Harrison Ford/Indiana Jones alla ricerca del santo Graal. Il gruppo a cavallo nei Cavalieri dell’ultima crociata che all’improvviso sbuca dalla gola è un’immagine che mi ha fatto sognare per anni. Poi ho capito che quella cosa lì si trovava a Petra, in Giordania.
Ecco, in realtà Petra era un’antica capitale, di enormi proporzioni, scavata dai Nabatei (una popolazione araba nomade), nel sesto secolo a.C. La città era molto potente, ma come spesso è accaduto a queste lontane civiltà, all’improvviso è iniziato un declino inesorabile e tutto sembra come essere stato risucchiato fra calamità naturali e spostamento altrove degli assi commerciali. Questi scrigni di pietra sono stati dimenticati, ma non del tutto: i beduini continuavano a tenerli in vita con i loro racconti, arrivati fino alle orecchie dell’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt. La vicenda è pazzesca. Burckhardt aveva capito che i racconti su quell’antica città potevano riferirsi a Petra e, travestito da pellegrino, è riuscito a farsi portare all’interno nel 1812. E così, con le immagini fuoriuscite in Occidente, la storia è ricominciata.
Che cosa vedrete a Petra oggi
Una delle cose più impressionanti è che Petra oggi è un vastissimo cimitero. E’ una città di tombe. Il famoso Tesoro, ma anche le altre straordinarie architetture venate di rosa, giallo e grigio, che si visitano durante il percorso, sono fondamentalmente monumenti funebri. E la cosa in realtà ci mette ancora di più la sua bella dose di mistero. Però non è finita qui, visto che nel sito si trovano anche molte testimonianze del periodo romano e pure bizantino. Complessivamente sono oltre ottocento i monumenti scavati nella roccia. Una piccola spiegazione sul biglietto d’ingresso: si può comprare quello giornaliero (al prezzo di 50 Jod) oppure per due giornate (a 55 Jod, è quello che abbiamo scelto noi, circa 70 euro). Non costa poco, ovvio, ma il sito è pur sempre un patrimonio Unesco e vale ogni dinaro speso. Anche di più. Un’alternativa è comprare il Jordan Pass, che comprende anche Petra (con fasce di prezzo variabili (dai 70 agli 80 Jod): se contate di visitare molti siti e monumenti in Giordania può essere conveniente (e si salta la fila all’aeroporto al momento di fare il visto).
Primo giorno
Io e tre amiche siamo arrivate in zona intorno all’ora di pranzo, dopo esserci lasciate alle spalle il deserto del Wadi Rum, che dista circa un’ora e mezza di auto. La macchina è sicuramente il mezzo migliore per raggiungere questo luogo remoto (noi avevamo un autista per tutta la settimana, l’ho raccontato qui, ma i taxi non costano una fortuna). Intanto bisogna sapere che il sito si trova nelle gole sotto Wadi Musa, una cittadina piacevole, che indubbiamente ruota attorno al turismo. Ci sono alberghi per tutte le tasche e ristoranti, oltre che gli immancabili negozi di souvenir e un bagno turco.
Intorno alle 13 ci siamo fatte lasciare a Piccola Petra, distante una decina di minuti dalla città. Vedere questo sito piccolo e già meraviglioso prima di quello principale è come un antipasto che scatena l’appetito. Basta una mezzora per percorrere la mini-gola, fra grotte e scale che si perdono sul fianco del montagna. Sarà facile incontrare beduini che vivono all’interno, alcuni con le loro bancarelle, altri occupati nelle loro faccende quotidiane. Chi è stato in Cappadocia, in Turchia, troverà questa vita nella roccia vagamente familiare.
Dopo uno stop a pranzo (molti ristoranti tradizionali qui sono organizzati con buffet molto ricchi a prezzo fisso), intorno alle 16 siamo entrate nel sito vero e proprio. E’ stato un primo assaggio del luogo, visto che i cancelli chiudono alle 19.30 (l’orario vale per maggio). Arrivando di pomeriggio, con la luce progressivamente più bassa e dorata, è meravigliosa la strada che porta al Siq, vera porta d’accesso: ai lati iniziano a spuntare i primi sepolcri e anche i resti di una sala per banchetti. Già queste prime case trogloditiche illuminate dal sole emozionano, ma il bello deve ancora arrivare.
Arriva infatti il Bab as-Siq, la gola lunga 1,2 chilometri, stretta e tortuosa, la vera porta di Petra. E’ uno spettacolo che toglie il fiato, per le mille venature rosa della roccia, per l’alone di mistero, per come ci si sente inghiottiti dalle pareti che, in alto, sempre più incombenti, sono perfettamente combacianti. E’ una spaccatura della terra, infatti, e anche un luogo sacro: lo si capisce dai pochi altorilievi che disegnano tempietti votivi. La roccia racconta e verso la metà affiorano cammelli e gambe, immagine sbiadita di un’antica carovana.
Quando, dopo le ultime due curve, si comincia a intravedere il Tesoro (Khaznah) non si è mai preparati a tanta bellezza. Davvero. Non si è preparati alla pietra rosa, alla perfezione dei capitelli corinzi, alla magia che questo luogo sprigiona. Ancora una volta, quello che sembra un palazzo, in realtà è una tomba nabatea, di cui oggi resta la facciata, perfettamente conservata. Ecco, in questo punto piuttosto affollato (vale la pena tornarci alla mattina molto presto), fra un cammello e un selfie, saltano all’occhio i veri abitanti del sito. Pensavo fossero beduini, in realtà sono gypsy, come la nostra guida Jacob ci ha ripetuto fino allo sfinimento. Una delle differenze principali, ci ha spiegato, è che gli uomini si truccano gli occhi con il kajal nero (sembrano un po’ tutti Johnny Depp ne Il Pirata dei caraibi, in definitiva). Ora, cercheranno di spillarvi qualcosa, o per il cammello, o per guidarvi alla scorciatoia che, subito a sinistra, permette di farsi la foto perfetta per Instagram: quella dall’alto, con il Tesoro in basso. Impossibile salire senza di loro, alla cifra di circa cinque euro. Noi abbiamo quindi fatto il giro lungo, ma lo racconto nel secondo giorno.
Superato il Tesoro, si apre la città bassa e già sui lati della strada sterrata si scorgono meravigliose tombe. La roccia sembra ricoperta da un velo sottile, come lavorata da uno scalpello sovrannaturale. Alcune sono abitate dai nomadi, altre sono in pessime condizioni, ma in ogni caso sembrano uscite da un’altra era. Il mio consiglio, a questo punto, è di arrivare fino all‘altura del Sacrificio. Si tratta di uno dei tre principali punti panoramici e il nome la dice lunga: noi li abbiamo fatti tutti nella seconda giornata, ma lo sconsiglio perché va a finire che ci si arrampica per ore, spesso sotto il sole. Insomma, poi diventa un’impresa spezzagambe e potendo è meglio ‘diluire’ le salite. La collina del Sacrificio, invece, è proprio perfetta per le ultime ore del pomeriggio: si sale a sinistra prima del teatro e dopo circa mezz’ora di salita lungo la parete rocciosa si arriva a un punto in cui si domina non solo il sito, ma tutta la distesa di roccia circostante: in lontananza si vede anche la tomba di Aronne. In cima troverete pastori, gatti e immancabili venditori. E’ un momento splendido, di pace, da assaporare con calma prima.
Il secondo giorno
Siete quelli che a colazione si prendono giusto un caffè? Ecco, per una volta cambiate idea. Mangiate come si deve e rientrate a Petra il prima possibile, sia per dribblare i turisti e avere il sito un po’ più per voi, che per osservare come il colore della roccia cambia assieme alla luce. Se il primo giorno siete arrivati fino all’altezza del teatro, questa volta restate sulla destra (in mezzo alla strada c’è un wadi, un fiume spesso in secca) e, fra un negozietto e un asinello, andate verso le Tombe reali. Confesso che sono uno dei miei monumenti preferiti, imponenti e misteriose.
Da qui si imbocca la strada per arrivare al secondo punto panoramico imperdibile, da dove si vede benissimo il Tesoro dall’alto (per chi vuole fare un po’ più fatica per la foto Instagram, in più non dovrete pagare i gypsies). C’è poco da fare: le scalinate sono inevitabili, ma i colori della roccia e il punto di osservazione finale vi ripagheranno di ogni fatica. In cima c’è l’immancabile bar. Devo dire che è il caffè al cardamomo con la vista migliore possibile, ma restate lucidi ed evitate di buttarvi di sotto, pur di fare una foto very social.
Tornati indietro restate nella parte ‘sopraelevata’ del sito, sul sentiero che conduce a una chiesa bizantina, dove sono conservati bellissimi mosaici, con il loro racconto di mestieri, stagioni e animali. Proseguendo fino in fondo al sito, oltre i ristoranti, si imbocca il sentiero per l’altro vero tesoro di Petra: il Monastero (El Deir). Confesso che la prima volta le centinaia di gradini mi hanno scoraggiata (e non stavo troppo bene, giuro) e sono salita (shame on me) in cima sull’asino! Al secondo giro ovviamente mi sono sudata ogni gradino, giuro.
Lo spettacolo della roccia in questo punto è così bello che la gioia supera la fatica. Dopo circa 40 minuti si arriva a un’altra tomba nabatea, colossale, sempre addossata alla montagna. E’ una vera sorpresa, perché se il Tesoro è un’immagine vista mille volte, questa sorprende molto di più. E’ il momento giusto di fare una pausa (noi ci eravamo fatte preparare un panino dall’albergo), godendo della meraviglia ultraterrena del posto dall’ennesimo bar sorto davanti. Scendendo, oltre a fare qualche acquisto (trattate senza pietà con le venditrici, che ne sanno una più del diavolo), tenete le energie per fare tutta la strada, questa volta nella parte più bassa del sito, a ritroso.
Passerete davanti all’agorà, il Qasr al -Bint (l’unico non scavato nella roccia) e altri monumenti per cui, onestamente, occorro fare un bello sforzo d’immaginazione. A questo punto consiglio di uscire dal sito non oltre le sei, soprattutto se pensate di rientrare per lo show serale.
Petra by night: sì o no?
Se non avete paura dei cani e siete tipi pazienti, la risposta è sì. Scherzi a parte, l’esperienza di Petra by night è continuamente sul filo del meraviglioso e della trashata (si dice?). Probabilmente è un po’ scappata la mano agli organizzatori che imbarcano troppa gente, che non arriva neppure tutta assieme, e l’atmosfera, nel vai e vieni generale, non è delle più suggestive. In più, lo spettacolo in sé è piuttosto misero -c’è una sorta di monologo sulla storia di Petra con accompagnamento musicale-, per non parlare della rissa fra cani randagi (sia a Wadi Musa che dentro il sito si incontrano spesso) in mezzo ai visitatori: non è successo nulla, ma su questo non c’è abbastanza attenzione. Vi ho demolito ogni intenzione di andare?
Ma no. Tornando indietro lo rifarei, magari siamo capitate noi in una serata sfortunata. Lo rifarei per lo spettacolo delle centinaia di candele che ardono nella notte. Per la magia del Siq nel buio, per l’inquietante alone di mistero che Petra sprigiona sempre, e di sera ancora di più. Però, ecco, se proprio non riuscite a incastrarlo (lo spettacolo non c’è tutte le sere) non strappatevi i capelli: la visita di giorno è comunque l’esperienza più bella. La serata dura circa un paio d’ore. Il biglietto si compra separatamente da quello d’ingresso e costa 17 jod.
Altre informazioni pratiche
Qual è la migliore stagione per visitare Petra? Sono molte quelle adatte e per la mia esperienza posso consigliare maggio. Durante il giorno non era eccessivamente caldo (vi servirà comunque una buona scorta d’acqua) e nel sito erano fioriti stupendi oleandri rosa.C’è ancora, però, una certa escursione termica serale. In dicembre, invece, è stato piacevole trovare pochi turisti, ma confesso che di notte è davvero freddo, soprattutto se dormite in un campo beduino (e noi, manco a dirlo, lo avevamo fatto, ai Seven Wonders).
Sulla scelta dell’albergo, invece, non avrei un dubbio al mondo a consigliare il Petra Moon. Ok, da fuori può sembrare un casermone, ma la posizione vicinissima al sito lo rende davvero comodo per gli spostamenti, soprattutto se pensate di rientrare per Petra by night. Altri punti di forza sono la terrazza all’ultimo piano (con piscina), da cui si intravede e il sito e in cui la sera si organizza un barbeque strepitoso. Super pure la colazione, camere rinnovate da poco. Insomma: giuro che non mi hanno pagata, ma siete matti se non ci andate.
Per la guida: oltre la Lonely Planet, mettete nello zaino Due settimane in Giordania di Cristina Rampado (ViaggiAutori). Così tascabile, sarà più comodo portarsela sulla schiena dentro il sito!