Questa volta parto dalla fine. Dalle ultime ore del mio ultimo viaggio fra Thailandia e Cambogia un anno esatto dopo il Laos e il mio primo contatto con Bangkok. E proprio a Bangkok torno in questo post, una città che sono davvero felice di avere visto una seconda volta e di avere capito un po’ di più. La strada è ancora lunga in questa metropoli sconfinata, che non conosce mezze misure, ma anche grazie ad Andrea e Kevin e a piccoli e grandi viaggiatori, ho scoperto alcuni angoli che ho amato moltissimo. Del resto sono sempre i dettagli a fare la differenza e una passeggiata notturna nel profumato mercato dei fiori o una cena sul fiume in un localino illuminato dalle lanterne mangiando piatti che non so se sarei capace di riordinare sono proprio quei dettagli che cambiano passo al viaggio.
Ma torno a quell’ultima sera thailandese, l’ultima prima di andare in aeroporto. Il lato negativo è che abbiamo mancato la festa di Loy Krathong, (presente tutte quelle lanterne lanciate in aria o rilasciate in acqua?), per un pelo. Noi ripartivamo il 24 notte e la giornata clou era proprio il 25. Un effetto collaterale dei viaggi organizzati all’ultimo: sapevamo che saremmo andati in Cambogia via terra per raggiungere Siem Reap, ma su tutto il resto abbiamo improvvisato. E così ci è scappata la data. Ma qui arriva il lato positivo. Per tutti i giorni prima della festività che coincide con la luna piena fra i mesi di ottobre e novembre, infatti, a Bangkok hanno organizzato il Bangkok River Festival, articolato in alcuni luoghi della città, ovviamente lungo il Chao Phraya. E i punti cittadini sono fra i più suggestivi, almeno per chi come me Bangkok la conosce ancora poco, come il Wat Pho o il Wat Arun. Parto dal primo.
Ci imbarchiamo a Sathorn Taksin (quella con la bandiera arancione) e qui inizia lo spettacolo. Il fiume è inondato di colori. Barche di legno piene di luci collegano il molo e gli alberghi. Molti sono veri e propri ristoranti fluttuanti. Tutto questo mentre altre imbarcazioni legate alla festa, sette in tutto, sfilano con tanto di musica a volume irragionevole. Da quello che ho capito, non conoscendo una parola di thailandese, uno speaker sulla riva le descriveva una per una. Sono realizzate da artisti locali e mescolano immagini allegoriche a quelle religiose, è uno spettacolo vederle sfilare avanti e indietro lungo il corso d’acqua. Nel giardino davanti allo stupendo tempio che ospita il grande Buddha sdraiato, aperto anche di notte per l’occasione (e l’opportunià di vederlo senza resse è stata preziosa e commovente), un’altra sorpresa: tanti piccoli stand con esposte tipicità thai. Ragazze in abiti tradizionali mostrano stupende composizioni floreali, piatti particolari, dolci. Mi ha ricordato quell’atmosfera di festa e condivisione che si respira nelle nostre sagre, anche se sotto questa lontana luna asiatica.
Ma anche noi possiamo partecipare. Alcuni volontari della festa, infatti, invitano anche gli stranieri a realizzare i loro krathong. Piccole ‘imbarcazioni’ realizzate con materiali naturali, come foglie di banano e legno di cocco, che poi si riempiono di fiori gialli e viola. Ultimo tocco, incenso e una candela. In seguito questa vera e propria offerta al fiume, dopo una preghiera al Buddha, viene affidata allo scorrere dell’acqua. Realizzare la nostra, guidati dai ragazzi del posto, è stato davvero magico, anche se la festa vera e propria era il giorno dopo, ho sentito di fare anche io la mia parte, di viverla lo stesso.
Qui in realtà viene anche l’esperienza tragicomica, da aggiungere alla mia personale galleria intitolata ‘rispetto a me Fantozzi era un dilattante’. Potrei farci un post sulle mie perle in giro per il mondo, ma venendo a questo momento posso solo dire che, unendo foglie di banano con la puntatrice, sono riuscita nell’impresa di ‘graffettarmi’ (pinzarmi, come si dirà?) un dito. Ricordo solo il male incredibile e Patrick che, fulmineo, mi toglie in stile Jack Shepard di Lost il ferro dal dito prima di scoppiare a ridere. E i thailandesi sgomenti che, urlando, mi procurano in tutta fretta disinfettante e cerotti, pure quelli di scorta. Non credo abbiano mai visto una cosa così, ma magari si ricorderanno di me. Ho terminato comunque il mio krathong e l’ho accompagnato con lo sguardo fino all’ingresso in acqua. E’ stato indimenticabile e, se pure col pensiero fisso al mio dito, un momento magico per cui ho provato molta gratitudine.
E, visto che ormai si era fatta ora di cena, ecco l’ennesima sorpresa. Proprio a un passo dal pacifico Buddha, sotto alcune di quelle case basse di Bangkok che mi piacciono tanto, ecco l’Ama, il posto perfetto per noi. Un incrocio colorato di atmosfera hippie e hipster: in due parole, insomma, il mio ideale. I ragazzi del locale erano tutti giovanissimi e i prezzi, poi, incredibilmente bassi. Il menù, semplicissimo, varia dal pad thai ai noodles, al curry. Io ho preso anche il mitico cocco, aperto per essere bevuto. Come spesso accade, il posto preferito lo trovi per caso. Un motivo in più per tornare.
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