Ho veramente un debole per il Sauvignon, uno dei motivi per cui appena posso faccio una scappata in Alto Adige per fare incetta di questi bianchi profumatissimi. Ma, anche senza dover prendere la macchina per salire fino a Bolzano, ne ho trovato uno a pochi passi da casa che non solo non ha niente da invidiare ai bianchi altoatesini, ma vola anche più in alto. Almeno dipende da quanto vi piace quel caratteristico sentore vegetale o, come direbbero i francesi (che ci mettono sempre più grazia), di pipi du chat.
La miracolosa scoperta è avvenuta a Imola, in provincia di Bologna. Città famosa per i matti, la Formula Uno (un tempo), tanta buona gastronomia e che io sto esplorando dal punto di vista enologico. Il vino di cui parlo è il Salcerella, un Sauvignon blanc in purezza, Colli d’Imola bianco Doc, prodotto dall’azienda agricola Tre Monti. Queste uve crescono nel podere che la famiglia ha sulle colline imolesi (l’atro è nel forlivese), particolarmente vocate per i bianchi semi-aromatici. Una prova ne è anche il Ciardo, uno Chardonnay (sempre in purezza), ammorbidito da un passaggio in legno. Citando Andrea Scanzi nel libro ‘Elogio dell’invecchiamento’, sono ancora alla personale ricerca del ‘super naso’ e ci sto lavorando su al corso di primo livello Ais. Premesso quindi che non sono un’esperta, qualcosa del Salcerella voglio provare a raccontarlo. Di un vivace giallo paglierino, al naso è un’esplosione di profumi, in particolare di foglia di pomodoro e erbe. In bocca non tradisce le aspettative: il bouquet resta, unito a una grande freschezza e a una buona morbidezza (del resto la gradazione alcolica è di 14%, e si sentono). In azienda raccontano che persino dall’Alto Adige sono venuti “a studiare come si fa il Sauvignon in Romagna”. Non mi stupisce. Quanto agli abbinamenti, io l’ho provato con il sushi ed è perfetto, ma è ottimo con primi piatti con verdure o comunque pesce. Una grande bottiglia a un prezzo per altro contenuto: sugli 8 euro in enoteca.
Per quanto riguarda l’azienda, Tre Monti, è una delle realtà più note dell’Imolese. La sua storia è iniziata quarant’anni fa: il fondatore è Sergio Navacchia e i suoi figli, David e Vittorio, tengono le redini della cantina. Si sarà capito che ho un debole per questa famiglia e per i loro vini. Ma non sono l’unica: il vino di punta, il Thea rosso, ormai da anni ha sdoganato i 90 punti del Wine Spectator. La scorsa primavera ha fatto una capatina in azienda anche un certo Anthony Bourdain. Se volete saperne di più, ecco qui una recente intervista che ho fatto.
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