The mountains and the canyons started to tremble and shake
as the children of the sun began to awake
Going to California, Led Zeppelin
E’ il mistero di ogni viaggio, qualcosa che scatta, una scintilla. Ci sono certi luoghi che restano a lungo nei nostri pensieri, anche se non sono quelli che più ci aspettavamo di vedere. A volte magari sì, ma comunque lasciano un ricordo dolce e un po’ di nostalgia che si alimenta come il fuoco davanti al quale sto scrivendo. Nell’ultimo viaggio in California per me questo posto è stato Lee Vining che, ho poi avuto modo di scoprire, per tanti era un perfetto sconosciuto. A San Francisco più di uno ci ha guardato con aria interrogativa; come se qui in Italia avessimo detto che venivamo da, giusto per citare un posto con un nome strano delle mie zone, Muffa. Poi, quando dicevi Mono Lake, qualcosa, nella testa del nostro interlocutore, si accendeva. Ebbene, in questo paesino ai piedi della Sierra Nevada, a un passo dal Nevada appunto, e alle spalle dello Yosemite mi sono un po’ innamorata. Anche se, diciamolo, tutta la giornata impiegata per arrivare fino a lì è stata quella più magica del viaggio.
La Death Valley
In principio era la Death Valley. Quando siamo partiti all’alba da Amargosa Valley, con un piede nel Nevada e un bicchiere di caffè bollente in mano immaginavamo di essere diretti verso uno dei luoghi più iconici e fotografati della California. Nel giro di un’ora potevo capire perché. La Death Valley è una meraviglia, superiore a quello che mi ero immaginata. Sarà perché avevo sempre sentito i racconti apocalittici di motori fusi, caldo da non scendere dall’auto (e in effetti i cartelli di avvertimento lungo la strada non mancano) di tutti quelli che normalmente viaggiano ad agosto. Nella prima tappa di Dante’s View, invece, ero infagottata nella mia giacca e il cielo era di un azzurro terso. Viaggiare fuori stagione, in dicembre in questo caso, può avere i suoi vantaggi, a partire dal fatto che si incontrano davvero poche persone. Da qui la vista sulla valle è molto suggestiva, per i colori come desaturati che iniziavano a scaldarsi sotto di noi e per l’atmosfera desolata che si percepisce a perdita d’occhio. Le immagini le avrete viste centinaia di volte: le rocce bianche e lunari di Zabriskie Point, la profondità salata delle Badwater, la tavolozza di colori dell’artist’s palette, dove la natura si deve essere divertita parecchio a tracciare quelle mille sfumature.
Non perdetevi Furnace Creek dove si trova un curioso museo del Borace (Borax Museum), da visitare liberamente. All’esterno di una casa di fine Ottocento si trovano tutti gli strumenti utilizzati per lavorare questo cristallo che viene utilizzato ancora in molti modi, ad esempio nei saponi o detergenti. All’interno della casa, che originariamente si trovava però in un altro punto, si possono osservare altri oggetti del tempo. Guidare nella Death Valley, senza l’ansia di fondere il motore, è bellissimo e riempie di gratitudine. Noi vi abbiamo trascorso circa una mattinata, senza correre troppo, uscendo dal lato nord, diretti a Lone Pine.
Lone Pine
Lone Pine è una graziosa cittadina ai piedi delle Alabama Hills. Circa duemila abitanti e una posizione molto scenografica tanto che, negli anni Venti del Novecento qui hanno iniziato a girare i primi film western. E non hanno praticamente più smesso tanto che la storia del posto è molto legata a quella del cinema e di Hollywood e non a caso tutti gli anni viene organizzato il Lone Pine Film Festival. Questo legame speciale è ben raccontato all’interno del Lone Pine Film History Museum (noto anche come Museum of Western Film History), un gioiellino per chi ama il genere. Fra le mie stranezze c’è anche questa: io lo amo moltissimo e vado matta per i vecchi film western (lo ammetto, proprio quelli in cui gli indiani fanno sempre la parte dei cattivi. Perdonatemi, ma niente Balla coi lupi e cose così, a me piace proprio Sentieri Selvaggi, per intendersi).
Insomma, all’interno del museo si trovano locandine, strumenti usati sul set, abiti originali, anche quelli di John Wayne che ha la sua sezione dedicata. E poi ancora un video che racconta come il cinema si è sviluppato in zona e l’evolversi del genere. Con chicca finale: il carro da dentista usato da Tarantino in Django (quella del dottor Schulz con tanto di dente sul tetto), donata proprio dal regista. I fan sappiano che c’è anche una sceneggiatura e la classica sedia usata da Tarantino sul set.
Nell’arco di un’ora siamo ripartiti alla volta di Big Pine, puntando al Coppertop bbq. Arrivati alle tre del pomeriggio con la fame di un grizzly, ci siamo dovuti scontrare col fatto che fosse chiuso per ferie e così abbiamo ripiegato sul diner poco distante. Alla faccia del ripiego: un posto adorabile, tradizionale e con favolosi panini. Quello col pulled pork è divino e consigliato dalla casa.
Lee Vining e il Mono Lake
Siamo arrivati con l’ultima luce rossa del tramonto che si spegneva dietro le montagne e subito Lee Vining ci ha accolto con la sua atmosfera natalizia. Il nostro motel, proprio all’inizio del paese con vista sul lago, era vestito a festa, fra luci e albero di Natale. Nota dolente, non tanto la connessione ballerina (io avviso), quanto il fatto che fosse praticamente tutto chiuso in questo periodo, ad accezione dell’eroico diner (che abbiamo poi onorato a colazione: se cercate i pancakes più grandi che abbiate mai visto, venite qui) e il Mono market. Non mi sono innamorata di questo negozio solo perché è rosso brillante, perché vende davvero di tutto, ma anche perché è perfetto per mangiare qualcosa quando non avete più il coraggio di sedervi a cena (vi ricordo il pulled pork del pomeriggio): una soup calda e il banana bread fatto in casa completano la magia. In generale questa cittadina illuminata dalla neve della Sierra Nevada è la classica stazione di montagna, con qualche attività legata al turismo, che d’inverno va un po’ in letargo. Del resto, il passo che da qui porta allo Yosemite National Park in dicembre è chiuso per neve.
E così non resta che farsi un bel giro (consigliatissimo all’alba) fino al Mono Lake, un lago salato che oggi ha un volume d’acqua molto inferiore rispetto al passato. Qui vivevano gli indiani Kutzadika, che si nutrivano di una specie di larve che si trovano in questo complesso ecosistema. Oggi una passerella porta vicino a curiose formazioni di tufo che, come misteriose creature, si ergono dal lago. Si può arrivare con l’auto, pagando pochi dollari per il parcheggio.
Da Mono Lake a Sutter Creek
Anche questa strada è davvero suggestiva, soprattutto con le montagne innevate. Il problema è che, anche se splendeva il sole, se la strada è chiusa per neve, non c’è santo che tenga: non si passa. E così abbiamo dovuto rinunciare all’idea di arrivare fino a Bodie, un suggestivo paese fantasma annidato sulle montagne a oltre 2.500 metri. All’epoca della corsa all’oro era diventato una calamita per avventurieri e gente un po’ di tutti i tipi, tanto da essere considerato un luogo di perdizione. Nel giro di pochi anni era abitato da migliaia di persone, ma, altrettanto rapidamente iniziò il suo declino: a inizio Novecento era già cominciato l’abbandono. Alcune case si possono ancora visitare, ma, come dicevo, abbiamo dovuto rinunciare e continuare fra montagne e minuscole città. Ci siamo fermati in uno dei negozi che vendono souvenir o i classici oggetti indiani, vi abbiamo trovato persone gentili e una stufa accesa. Abbiamo continuato a guidare in mezzo ai boschi, fino a 2mila metri, prima di iniziare la discesa verso Sutter Creek, dove è stato come tornare alla civiltà.
Questa cittadina, consigliata ancora una volta da Paola e Gianni è una perla ancora non troppo conosciuta. E’ bello fare un giro nella via principale, fra negozietti e cantine. Già, questa zona da qualche anno ha scoperto la sua vocazione vinicola ed è in grande crescita. E devo dire che i risultati sono molto interessanti, non solo perché lo Zinfandel e il Cab non sono affatto male, ma anche perché costano molto meno della non lontana Napa Valley. Due indirizzi consigliati sono Bella Grace, con una bellissima location, e Feist. E poi vabbè la gentilezza è sempre di casa.
Tutto questo lo abbiamo fatto in ventiquattro ore. Ventiquattro ore in cui siamo passati dal deserto, alle montagne, finendo in città. Miracoli della California.
Se volete approfondire l’argomento del vino ho scritto un post intero sul tema: visitare le cantine della California
I post sulla California
- In California a dicembre
- Fra la Death Valley a Lee Vining
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