Quando andare in Kerala
A quasi due settimane dal ritorno è arrivata la prima avvisaglia. I primi segni inequivocabili di nostalgia. Sensazione che mi assale anche adesso pensando all’ultimo viaggio in India del Sud, in cui abbiamo visitato Mumbai, Tamil Nadu, Karnataka e soprattutto il Kerala. Ed è questo placido stato dall’anima tropicale che voglio raccontare, a partire dall’esperienza più bella e coinvolgente: la navigazione nelle backwaters. Inizio con una premessa: chi va in aprile deve sapere che è la stagione limite per viaggiare a bordo delle barche tradizionali. Un po’ per le temperature elevate, un po’ perché il monsone è in agguato (arriva a giugno). Ma, anche se il periodo ottimale sarebbe da ottobre a marzo, io mi sono trovata benissimo per una serie di ragioni: i prezzi sono più convenienti (la cifra poi dipende anche dalle compagnie); il ‘traffico’ in acqua è minore e, anche se fa caldo, comunque di notte in barca c’è l’aria condizionata di sopravvivenza. Insomma, in questo contesto turistico più tranquillo, io consiglio fortemente di trascorrere almeno due notti a bordo. E’ un po’ caro considerando i costi dell’India, ma ne vale totalmente la pena.
Il consiglio: navigare almeno due giorni
Lagune, canali orlati di palme, risaie sullo sfondo. E la vita che scorre sull’acqua che sembra un film per chi ha la fortuna di guardare, e sbirciare, dalla barca. Scene di quotidianità si srotolano sotto gli occhi e quel mondo colorato e agreste trasmette un senso di serenità che raramente ho provato in India. Il tempo sembra sospeso nelle backwaters, una rete di acqua dolce, vasta migliaia di chilometri di canali, che si estende fra la costa e l’interno. Queste acque, che creano anche alcuni laghi, sono attraversate da varie imbarcazioni, fra cui le kettuvalam; sono le grandi barche tradizionali (lunghe anche quindici metri), realizzate con legno di cocco e bambù. Oggi sono trasformate, in certi casi almeno, in vere e proprie case galleggianti dotate di camere da letto e servizi. L’esperienza di navigazione può essere molto varia a seconda del punto di partenza (ad esempio a Cochin, la porta a nord, o Kollam, l’accesso meridionale). Il vero quartier generale, però, è Alleppey, cittadina che non merita soste particolari se non per salpare. E così abbiamo fatto anche noi, scegliendo la compagnia Lakes & Lagoon: consigliatissima. Il tour è iniziato all’ora di pranzo e si è concluso due giorni dopo, subito dopo colazione. Lo staff a bordo era composto da tre persone: uno è il cuoco, che nel nostro caso si è prodigato in meraviglie gastronomiche (ahimè, abbiamo scoperto solo alla fine, anche per rimpinguare la mancia: mille rupie gli avevano fatto storcere un po’ il naso. Tant’è).
Cosa si vede
Appena si accendono i motori, la barca comincia a scivolare lentamente fra i canali. Ci si accomoda in veranda e inizia lo spettacolo. Il silenzio è rotto solo dal rumore dei panni sbattuti contro i gath -le scale che scendono nell’acqua. Tutti stanno vicino alla riva, sarà anche per via del caldo. Lavano piatti, lavano vestiti. Soprattutto si lavano loro, le donne con i loro lunghi capelli neri, gli uomini in sarong, o i bambini che si tuffano ridendo. L’altro rumore è il vento. Un soffio leggero, che muove le palme cariche di cocchi, interrotto solo dal battito d’ala di qualche uccello che plana sull’acqua. Imbocchiamo un canale dopo l’altro, solo ogni tanto percepiamo la vicinanza della città avvistando qualche ponte trafficato o sentendo un tuk tuk.
In questo placido mondo, infatti, dove tutti si spostano in barca, compresi i bambini che vanno a scuola, ogni tanto fa la sua incursione la contemporaneità sotto forma di variopinti manifesti elettorali, di piccoli cantieri e, soprattutto di feste. Siamo scesi in uno di questi villaggi, in uno dei giorni conclusi di Pooram: il più famoso si tiene a Thrissur, una cittadina nel nord del Kerala, ma anche qui il tempio è addobbato con migliaia di bandierine colorate che ondeggiano. Il paese è stipato di gente (come sempre in India), che continua ad andare e venire dalle barche. Tutto mi ricorda le sagre delle mie zone: i bambini vestiti a festa, le bancarelle che vendono un po’ di tutto, i gelati che sciolgono tra le mani. Le donne sedute sul bordo del fiume ad aspettare l’inizio della processione, la musica a tutto volume: appena farà buio, arriverà anche l’elefante bardato in modo tradizionale. Ecco questo nella mia infanzia non c’è, penso, mentre guardo decine e decine di persone sfilare con pesanti lanterne in mano. Come pesanti sono i sacchi di riso, portati sulla schiena da smilzi uomini in sarong: il raccolto è appena finito e ora si festeggia, nel cuore dell’estate. Purtroppo non vedremo l’elefante, la star esce solo quando cala il buio e per noi è tempo di salpare di nuovo per attraccare vicino a un pontile da cui rifornirsi di corrente elettrica. E’ in questo punto tranquillo, dove si arriva a toccare le palme, che aspettiamo il tramonto e le prime luci che tremolano sull’acqua. Mentre il cuoco di bordo ci prepara la cena, osserviamo gli uomini che chiacchierano sull’argine, qualcuno che torna a casa e le donne che lavano i piatti, chine sull’acqua.
Fra le visite che si fanno abitualmente c’è anche quella alla chiesa di Santa Maria, nel bel paesino di Champakulam. Si tratta di un edificio coloniale, in stile portoghese, di calce bianca e lilla (molte chiese sono violette qui). Si tratta della chiesa più antica del Kerala e all’interno è colorata da vivaci dipinti su legno. Da queste parti cristiani, indù e musulmani sono abituati a vivere a stretto contatto, la commistione culturale e religiosa scorre nelle vene di questo stato comunista da oltre cinquant’anni. La chiesa è preceduta da un lungo porticato, si entra lateralmente, dopo essersi tolti le scarpe: tutto ricorda l’ingresso nei templi o nelle moschee, così come la presenza dei ventilatori. Gli uomini e le donne sono divisi e ovviamente lo capisco solo a messa iniziata: le funzioni qui sono celebrate due volte al giorno e sorrido ascoltando le musiche della celebrazione, che ricordano più quelle di un film che quelle religiose. Il prete è girato, tutti cantano. La fede è sempre una cosa seria, da queste parti.
Qualche informazione pratica. Il costo di due notti in una kettuvalam è di circa 200 euro a testa, compresi i pasti, di alto livello. Diciamo pure che il cuoco ci ha rimpinzato di cibo, spuntini (tipo banane fritte) e deliziosi succhi di frutta fresca. Dalle 8 di sera ci veniva accesa l’aria condizionata in camera, e il letto e il bagno sono stati fra i più puliti trovati in India.
Il secondo giorno pieno ci siamo fermati solo una volta per una sosta a piedi, una visita in più a un villaggio l’avrei fatta volentieri, ma alla fine ci siamo rifatti con un giro in canoa con un signore del posto. E’ stata un’altra stupenda esperienza a contatto con i locali, con i bimbi che sorridono e salutano, con le donne ritrose, gli uomini che fissano con aria curiosa e un po’ di sfida. Abbiamo vissuto quel mondo da un’altra prospettiva, più bassa. Più a pelo dell’acqua, e quindi toccando il cuore di questo paese.
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