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Preparandomi al Laos

Foto dal sito della Lonely Planet (http://www.lonelyplanet.fr/destinations/asie/laos)

Foto dal sito della Lonely Planet (http://www.lonelyplanet.fr/destinations/asie/laos)

Perché andare in quel paese
Come mi è già successo in passato, alla vigilia di un viaggio mi chiedo perché ho scelto di andare proprio in un determinato Paese. Ci sono così tanti posti che mi affascinano: perché questo è arrivato prima di altri? Sto parlando del Laos, che da domani sarà la mia nuova meta, il punto di partenza alla scoperta di quel tetris di stati che sono Thailandia, Cambogia, Vietnam e Birmania. L’Indocina, leggevo l’altro giorno su un vecchio atlante. Che poi pensandoci, mi sono ricordata che quello era stato il mio primo atlante: me l’ero fatto regalare per un compleanno alle medie. La passione per carte e paesi lontani, io che non avevo mai preso un aereo (e i miei genitori neppure) era evidentemente già lì da qualche parte. Comunque dicevo. Perché il Laos. La risposta esatta non ce l’ho. In effetti ero partita dall’idea della Thailandia, che all’improvviso è diventata Cambogia e Laos e poi Laos da solo. Una full immersion a Bangkok è in programma, ma poi abbiamo deciso di concentrarci su un paese solo, per non saltare di qua e di là continuamente e provare a immergerci un po’. Anche se sarà solo un assaggio. E quindi eccoci in partenza per il paese su cui avevamo trovato meno cose scritte, meno foto, meno certezze forse.
Compagni di viaggio

Compagni di viaggio

E qui torno al punto di partenza: perché il Laos. Perché, dopo due viaggi in Giappone e uno in Turchia, quelli che per me sono gli estremi dell’Oriente, volevo vedere cosa ci sta in mezzo. Un libro che ho comprato, una mini guida su usi e costumi laotiani scritta da Mauro Proni (che poi vive lì da anni), nell’introduzione parte da una famosa frase di Terzani tratta da ‘Un indovino mi disse’: “Il Laos è uno stato mentale”. Se ho ben capito, il succo di queste righe è che durante questo viaggio bisogna necessariamente abbandonare tutti quegli schemi, quelle griglie che ci portiamo da casa saldamente racchiuse dentro la nostra testa. Che dobbiamo prepararci a un diverso significato delle cose, a una diversa scansione del tempo, a un altro ritmo. Il senso del viaggiare, e credo che sia questa la differenza con il concetto più lato di vacanza, è toccare con mano il diverso. Molto spesso è più brutto, più sporco, più scomodo di tutto quello cui siamo abituati (e venendo dall’Italia capita un po’ ovunque) e più volte ho pensato: ma chi me l’ha fatto fare di arrivare fin qui? La prossima volta Maldive. Ecco, superando questi scogli che già mi immagino ci saranno, mentre penserò che la frittata di formiche è forse un po’ troppo per me, spero di arrivare a capire questo stato mentale tutto laotiano.

E poi mi piace un sacco, come ho già scoperto a Cuba, quando le stagioni nei luoghi sono soltanto due. Due momenti che ritornano ciclicamente e che scandiscono la vita con semplicità. Più pioggia o meno pioggia. Più o meno caldo (e più o meno zanzare, ahimé). Meno complicazioni, meno stress, meno contraddizioni in una vita senza orologi. Il ritmo lento ci piace, anche se non so quanto ci sappiamo resistere dentro. Bene, tutto quello intendo scoprirlo in due settimane di Laos. Infine, un’altra cosa che mi affascina, a priori. I luoghi in cui la storia sta ancora cambiando rapidamente, anno dopo anno, il volto di un luogo. Leggendo la Routard del 2005 (non c’è una versione più aggiornata di questa in giro), è piuttosto diversa dalla Lonely Planet 2011. E anche i post in Rete più aggiornati sono contraddittori. Dove fino a pochi mesi fa si navigava, ora c’è una diga e non si passa più. Tanto per fare un esempio. Mai letto pareri tanto discordanti su un posto (questa però, di Silvia Moggia, è stata la mia lettura preferita). Insomma, credo che ci siano parecchie pagine da scrivere sul Laos. Non resta che partire.

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  1. Pingback: Prime impressioni sul Laos |

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