Dormire in tenda al Salewa Base Camp
Yuko invece nella sua compagna vedeva cinque caratteristiche diverse, che appagavano il suo talento artistico. “E’ bianca. Dunque è una poesia. Una poesia di una grande purezza. Congela la natura e la protegge. dunque è una vernice. La più delicata vernice dell’inverno. Si trasforma continuamente. dunque è una calligrafia. Ci sono diecimila modi di scrivere la parola neve. E’ sdrucciolevole. Dunque è una danza. Sulla neve ogni uomo può credersi funambolo. Si muta in acqua. Dunque è una musica. In primavera trasforma fiumi e torrenti in sinfonie di note bianche“.
da ‘Neve’, Maxance Fermine
Io non sono un’esperta di montagna. Non so sciare, non ho una tuta da sci, sono quella che fa sempre la corsa da Decathlon per cercare il minimo indispensabile il giorno prima di partire. Al freddo preferisco il caldo e ho dormito in tenda solo in Grecia, d’estate. Soffro di vertigini e stare a gambe a penzoloni nel vuoto a tratti mi impedisce di parlare. Ed è proprio per questo che ho deciso di partecipare al Salewa Base Camp a Merano 2000.
Confesso che la prima volta che abbiamo visto la tenda-fac simile ai mercatini di Natale, là in mezzo alle casette di legno e i pentoloni di vin brulè, ho pensato che era una cosa da matti. Non so esattamente quest’anno cosa mi abbia spinta a cambiare radicalmente idea, tanto da insistere con il mio compagno di viaggi (ecco la sua versione della spedizione) per parteciparvi. Cosa è successo in questi dodici mesi? Ho viaggiato un po’ fra Balcani, Isreale e Cuba. Non so se saranno stati questi paesi dalla storia complicata a toccarmi nuove corde, ma fatto sta che ho deciso di superare sempre di più i miei limiti e le mie paure, fra cui quella dell’altezza.
Che cos’è il Salewa Base Camp
Secondo uno dei gestori del rifugio Mittager, se avessimo dato 140 euro a qualcuno giù a Merano per andare a dormire all’aperto lì su, a 2.300 metri, ci avrebbero presi per matti. In effetti, passare la notte in una delle dodici tende acquattate sul Monte Catino sembra un po’ un diversivo per spericolati. In realtà, è soprattutto un modo per vincere la paura del silenzio e per godere dell’isolamento, dialogando con la natura.
Dunque l’idea di Alex, albergatore meranese e nostra guida responsabile, è stata questa: contattare il noto marchio che ha messo a disposizione tende e sacchi e pelo tecnici e portare il gruppetto in questione, circa una ventina per volta fino al 9 gennaio, al rifugio. Ci si trova alla funivia che porta agli impianti di Merano 2000, si cammina per 45 minuti nella neve, si prende la seggiovia Mittager, la più fredda del comprensorio, e si sale fino a 2.300 metri. La cena e i momenti col gruppo si vivono all’interno del rifugio, poi la notte si sguscia nelle tende, ci si infila nel sacco a pelo come bachi da seta e, mentre fuori la temperatura scende ben oltre sotto le zero, si attende il sonno dopo che Alex ha staccato la corrente elettrica.
Una notte in compagnia della neve
Ed ecco che allora la protagonista di queste righe è la neve. Lo è stata lungo il percorso verso la seggiovia, mentre, sottile, ricopriva i nostri vestiti e si sfaldava sotto i nostri piedi. Ci ha avvolti lungo la strada, mentre era difficile tenere il passo dietro a un gruppo di bolzanini ben più allenati di me. L’ho temuta sui famigerati impianti, mentre si dondolava per il vento e i fiocchi sulle sciarpe, gelidi, diventavano cristalli. I piloni emergevano dal biancore come spettri, silenziosamente incrostati di ghiaccio. Ha circondato il rifugio, dove l’abbiamo dimenticata, seduti davanti al fuoco, chiedendo il bis di Kaiserschmarrn e mentre la grappa alle radici di genziana bruciava, in gola.
Ma la neve ci aspettava, paziente, all’esterno, impedendoci di vedere le cime e quel cielo stellato che ci aveva incantato della sera prima. La cosa più difficile è stato raggiungere la tenda a pochi metri dal rifugio: i nostri passi erano come di piombo sopra quella coltre. La neve tagliava le palpebre, bisognava entrare velocemente per lasciare fuori quel brontolio e stendersi su coperte e cuscini e immaginarsi qualcuno già conosciuto nei libri. La neve è stata la nostra compagna tutta la notte. Non ha smesso di cadere sulla nostra tenda, così come il vento non ha smesso di scuoterla. Due soli rumori, uniti a un terzo: quello del mio battito, accelerato dalla corsa nella neve, dal generoso cibo del rifugio, dall’emozione per la novità. Una tachicardia che all’inizio mi ha impedito di scivolare nel sonno, ma che poi se ne è andata, come il freddo, rimasto fuori da quel sacco a pelo.
Questa l’avventura. Il resto è bianco. E’ il bianco del risveglio, quando una foschia luminosa continuava a schermare il rifugio, che ci aspettava per la colazione. E bianco era il panorama, sempre spettrale, che ha accompagnato il viaggio in seggiovia verso la gli impianti sottostanti. E nel silenzio di quei minuti appesi a un filo pieno di neve, mi sono accorta che la paura era rimasta su, dentro quelle tende.
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