Lo so, il Vinitaly è ormai finito da giorni, ma ecco qui alcune note veloci, raccontando di qualche bella sorpresa e di qualche piacevole conferma. Per impegni di lavoro sono riuscita ad andare solo nella giornata di apertura, che non è mai l’ideale visto i quantitativi di gente, decisamente non tutta addetta al settore. Regionale delle 8 di mattina da Bologna, alle 10 sono dentro la fiera, per uscirne solo alle 18.30. Quaranta degustazioni circa, per sette regioni visitate. Questi i numeri, vediamo i vini.
Emilia Romagna
Prima il saluto di rito agli amici dell’Emilia Romagna. Ancora una volta merita una sosta la Fattoria del Monticino Rosso di Imola (ne avevo già scritto qui se vi va di saperne di più). L’azienda dei fratelli Giovanni e Luciano Zeoli presentava un Sangiovese completamente privo di solfiti (davvero gioioso, vivace nel colore dai sentori di frutta rossa giovane) e il loro vino di punta, il Codronchio. Questa bottiglia (assai premiata) esprime tutte le potenzialità di invecchiamento dell’Albana e le sue declinazioni. Le uve infatti fanno un riposo sur lies e lo stesso vino si trova anche nella versione ‘botritizzata’: alcuni grappoli sono attaccati dalle muffe nobili e, diventa, permettetemelo, un piccolo Sauternes (molto amato dal mercato giapponese pare). Parlando con Luciano e l’enologo Giancarlo Soverchia, l’obiettivo dell’azienda è farlo invecchiare il più possibile: penso vinceranno la scommessa.
Passaggio d’obbligo all’interno del convito di Romagna dalla famiglia Navacchia di Tre Monti. Per il fondatore Sergio il trentesimo Vinitaly è ampiamente superato. Antesignani del vino di qualità in tempi non sospetti per questa regione, ormai i Navacchia sono molto lanciati nel mercato estero, in particolare in quello statunitense. Mi hanno offerto un assaggio di Thea rosso, vino di grande complessità e cavallo di battaglia dell’azienda. Però ripeto ancora una volta che, per me, sono molto interessanti i bianchi: dal Ciardo (Chardonnay in purezza) al Salcerella (un Sauvignon blanc che commuove). Questi veri signori del vino sono una graditissima conferma. Dopo un blitz dall’imolese Augusto Zuffa, un pioniere in campo bio (ha persino la certificazione per la Cina), ho lasciato la Romagna per l’Emilia: volevo assaggiare il Fortana e così ho fatto.
Il vino delle sabbie in versione frizzante è molto sfizioso, soprattutto accompagnato a un ottimo salame all’aglio, ma la grande riconferma direi che sia la Cantina della Volta. Nell’azienda di Bomporto si sono inventati un Lambrusco rosé di Modena Metodo classico: raffinatissimo, di un colore così delicato da sembrare quasi spumantizzato in bianco. Una bollicina scoppiettante, alla cieca sarebbe impossibile riconoscere un Lambrusco di Sorbara.
Lombardia
Lasciato il padiglione 1, mi sono lanciata nel Franciacorta. Non so se fosse lo spazio più ridotto, l’ora vicino al pranzo o il successo di cui godono questi bianchi al momento, ma di sicuro c’era parecchio da sgomitare (a dire il vero per molti sembrava più un aperitivo che un banco d’assaggio). Ho fatto varie degustazioni molto valide, ma segnalerei qui la Cascina Clarabella. Non solo perché ho trovato sublime il Pas dosé, ma anche perché la cantina è qualcosa di più: una coop (anzi un’unione di cooperative) che inserisce in questo settore pazienti psichiatrici. Il tutto rigorosamente bio. Una delle più belle sorprese della fiera che lascia anche parecchie speranze: di gente in gamba ce n’è e il vino è pure buono.
Dalla Francia all’Abruzzo
Un mini tour interessante è stato quello nello stand dei vini naturali, con una buona presenza anche di produttori francesi e austriaci. Segnalerei sicuramente lo Champagne della piccola maison Demarne Frison. Sono due le etichette: Champagne Goustan Brut Nature (cento per cento Pinot nero) e Champagne Lalore Brut Nature (100 per cento Chardonnay). Pochi riflettori, ma molto sostanza. Cercando un po’ in Rete, ho visto che il prezzo parte da circa 42 euro. Ad anni luce di distanza, fra gli italiani, da sottolineare l’abruzzese Emidio Pepe. Non ne ha certo bisogno visto che è ormai noto per i suoi vini Triple A, in particolare per il Montepulciano d’Abruzzo e per il Trebbiano. E’ incredibile la longevità di queste bottiglie: del Trebbiano ho sentito anche un’annata 1983 e, davvero, ha ancora molto da dire.
Friuli Venezia Giulia
Vagando nel Friuli Venezia Giulia, mi sono imbattuta in Joe Bastianich. Proprio lui, il giudice di Masterchef, che non avendo abbastanza impegni nella ristorazione stellata e nel piccolo schermo, si diletta anche di vino. Lo ammetto, ho improvvisato qualche domanda pur di vederlo a distanza ravvicinata: ha detto di essere ben contento del successo dei bianchi nel pubblico italiano. Per distinguermi dai fan, ho assaggiato qualcosa: il Sauvignon francamente era davvero buono, con un bel sentore di peperone e… pipì di gatto proprio come piace a me. Insomma, è un po’ un Re Mida il nostro Bastianich.
Veneto
Un appuntamento cui non volevo mancare era, in Veneto, quello con le Vigne di Alice. Cinzia Canzian e Pier Francesca Bonicelli le avevo conosciute telefonicamente tre anni fa, quando mi raccontarono di essersi appena lanciate in una nuova azienda (prima lavoravano con i mariti) guidate dallo slogan ‘life is a bubble’. Finalmente ho conosciuto Cinzia, donna di classe (il filo di perle in fiera non è da tutti), caratteristica che sa trasmettere ai vini. Come zona siamo nel Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg e le due produttrici hanno giocato con il vitigno e ripescato tagli tradizionali. Interessante il P.S. integrale Brut, da uve Glera: il vino fermenta sui suoi lieviti senza sboccatura. L’etichetta di punta, (sempre 100 per cento uve Glera), è un metodo classico. Dei profumi del Prosecco resta poco, mentre affiorano sentori di lieviti e crosta di pane: davvero difficile distinguerlo da uno Champagne. Non si può scordare neanche nel nome, visto che si chiama ‘Alice. G’. Più spumeggiante di così…
Alto Adige
Infine il mio amato Alto Adige. Per prima cosa mi sono tolta la curiosità di vedere di persona aggirarsi nello stand come un comune mortale il conte Conte Michael Goëss-Enzenberg di Manincor, l’azienda biodinamica adagiata sul lago di Caldaro. A seguire, ho finalmente assaggiato i vini di Stroblohf, che nelle mie scorribande nella strada del vino non ero ancora riuscita a raggiungere. In una guida avevo trovato l’indirizzo del maso (ad Appiano, sembra davvero stupendo, però d’inverno è chiuso), ma non immaginavo che i vini fossero così buoni. Sotto la guida sapiente di Andreas Nicolussi-Leck, ho assaggiato un ottimo Pinot nero ‘Pigeno’: un’esplosione di frutta e fiori. Infine, la migliore delle conferme, Ritterhof. E’ dopo avere assaggiato questi vini eccezionali che sono andata, due volte a distanza di sei mesi, in Alto Adige. Ed è stato bello, la seconda, essere riconosciuti in cantina, proprio in una zona in cui il visitatore non è mai accolto in maniera eccessivamente calorosa. Per quanto, ed è quello che conta, con una professionalità impeccabile. Ebbene, ho ritrovato il simpatico banchiere che al Vinitaly diventa una valida guida nella degustazione: il mio preferito resta il Gewurztraminer della linea ‘Crescendo’, da uve di un vigneto selezionato. Un bouquet esplosivo. Chicca finale, l’assaggio di una grappa Roner alla pera: prima o poi anche questo mondo è da esplorare.